Gregorio Botta ha sempre avuto una doppia vita. L’artista nato a Napoli, ma romano d’adozione, sin dagli anni ’80 si è diviso tra la passione per l’arte e quella per la scrittura. Dall’Accademia di Belle Arti di Roma fino al ruolo di vicedirettore a Repubblica, il classe ’53 ora approda alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna con un nuovo allestimento chiamato “Just measuring unconsciousness”. Misurare l’inconsapevolezza: il viaggio esistenziale di Botta diviso in quattro stazioni.
Nella varie stanze l’artista ci mostra la sua capacità di trattare materiali come alabastro, metallo, lino e garza, ma anche giocare con i suggestivi effetti dell’acqua che scorre o della luce. La sua è un’arte che oscilla fra il materico e l’anti materico, alternando solidi blocchi di cera attraversati da rivoli con elementi leggeri e sospesi.
La mostra tratta i temi della vita, del desiderio, del dolore e della morte. E Botta lo fa mettendoci davanti agli occhi pietre che levitano, vetri concavi che proiettano ombre e – nell’ultima stanza – un letto di cera sospeso sull’acqua attraversato da fiumiciattoli in un moto perpetuo senza inizio né fine.
E’ proprio con Ophelia’s dream, questo il nome dell’opera, che vita e morte trovano armonia. La vitalità dell’acqua infatti va ad irrorare un letto che simboleggia il trapasso, mostrandoci un’interessante mescolanza. E’ così che si conclude l’allestimento, lasciandoti addosso un misto di serenità e curiosità. La prima data soprattutto dai rumori gentili del gocciolio sulla cera, l’altra dal tentativo di riuscire a comprendere in toto il pensiero che Gregorio Botta vuole comunicarci.