Quando hai una vita come quella di Luis Sepúlveda con la morte hai fatto i conti da tempo. «Sono morto tante volte, se è per questo. La prima quando il Cile fu stravolto dal colpo di Stato; la seconda quando mi arrestarono; la terza quando imprigionarono Carmen mia moglie; la quarta quando mi tolsero il passaporto. Potrei continuare». La sua ultima battaglia è iniziata a febbraio, quando è stato ricoverato nell’ospedale di Oviedo perché positivo al Covid19. Ha lottato per due mesi, ma alla fine il virus si è portato via il suo spirito guerriero.
Scrittore, giornalista, sceneggiatore e attivista. Una vita piena che sembra essere segnata già alla nascita. Suo padre era un militante del Partito Comunista Cileno (PCCh) e sua madre, Irma, un’infermiera. Luis nacque nella camera di un albergo il 4 ottobre 1949 mentre i suoi genitori erano in fuga per dissidi politici, dal 1948 infatti il PCCh era stato represso dal governo e il padre di Sepúlveda denunciato dal suo consuocero.
Cresciuto con le storie del nonno paterno, «Un anarchico che agli inizi del ‘ 900, a soli 16 anni, partecipò a una rivolta nella Spagna andalusa», che attraverso le pagine di Tolstoj cercava di trasmettere a suo nipote ideali anarchici. «Si arrabbiò moltissimo quando gli confessai che ero entrato nella gioventù comunista. Mi disse: “Luis, tu e i tuoi compagni lotterete per immaginare di essere liberi, io lotto per non dimenticare di esserlo stato”». Sepúlveda non ha mai smesso di lottare per una libertà che non era immaginazione, come gli rimproverava sua nonno, ma uno stato di grazia che esiste davvero solo mentre si lotta per conquistarla.
Fu arrestato e torturato due volte durante la dittatura di Pinochet in Cile, perché sostenitore dell’ex Presidente socialista Salvador Allende deposto con un golpe di stato. L’ergastolo venne tramutato in esilio grazie all’intervento di Amnesty International, l’organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani. Così Sepúlveda scappò dal Cile perdendo le tracce di sua moglie Carmen, poetessa, che era stata arrestata qualche giorno dopo di lui. Carmen venne torturata e il suo corpo in fin d vita gettato in una discarica, si salvò per l’errore dei suoi carcerieri che la ritennero morta. Luis e Carmen furono separati, si persero, ma solo per poi ritrovarsi: «Che la via più breve fra due punti è il giro che li unisce in un abbraccio sorpreso». Scrive Sepulveda della más bella historia de amor, La più bella storia d’amore, mentre è in treno per risposarla a Parigi.
Prima di questo «abbraccio sorpreso» i due avevano ripreso i contatti scambiandosi bozze dei loro libri e delle poesie, Luis fece leggere a Carmen il suo primo romanzo: La storia di un vecchio che sapeva scrivere solo il suo nome, ma che amava i romanzi d’amore. Un bianco a cui gli indigeni avevano offerto un posto dove vivere dopo la morte della moglie, una capanna che diventa il confine esatto tra la civiltà e il mondo selvaggio. Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, primo romanzo di Sepulveda, racconta in realtà i sette mesi dello scrittore cileno passa tra gli Indios dell’Amazzonia durante il suo esilio. Un libro nato da una spedizione per conto dell’UNESCO per studiare gli effetti della civilizzazione su questo popolo, ma da cui al contrario si percepisce l’influenza e gli insegnamenti appresi dagli indigeni per vivere in armonia con la natura.
Il lungo viaggio che l’ha portato dal Cile fino agli Indios Shuar tra Ecuador e Perù, e ancora in Argentina, Bolivia e Uruguay è stato raccontato molto tempo dopo nel romanzo La Frontiera scomparsa perché, ha spiegato, aveva bisogno che il tempo creasse la giusta distanze per parlarne. «Su una cosa non transigo: devo stare attento alla realtà che racconto, ho il dovere di farlo». E con attenzione e distanza racconta le proprie radici attraverso il pellegrinaggio verso il paese d’origine della sua famiglia, e la dittatura cilena.
Leggendo Sepúlveda è impossibile non notare la cura con la quale costruisce i protagonisti delle sue storie, rendendoli reali e vicini: «Riesco ad iniziare a scrivere una nuova storia solo quando sento maturi i personaggi, quando sono sicuro di loro, quando oramai li amo, quando sono definiti e l’affetto che ho per loro li rende indipendenti. I romanzi non vengono scritti dall’autore ma dai personaggi, lo scrittore si limita a seguirli nel loro percorso». Ne sono un esempio Panchito e gli altri personaggi che Luis incontra durante il suo viaggio in Patagonia e che racconta nel suo diario, Patagonia Express. Incontri e storie in bilico tra il fantastico e il reale, ma che rendono il viaggio vivo e le emozioni del lettore ancora più vicine.
Una vita piena raccontata da una scrittura semplice e chiara che mette in risalto le emozioni e crea un legame unico i lettori, in cui ogni esperienza ha come punto di partenza «un generoso ‘noi’. L’opera di uno scrittore trova la sua più profonda giustificazione etica non tanto nelle cose grandi, ma in quelle piccole nella forma e grandi nel contenuto» per questo Luis passa dal romanzo alle favole, a cui affida tutto il suo essere, i suoi ideali e le sue battaglie. «È un genere che mi consente di creare dei personaggi, soprattutto animali, in grado di trasmettere valori come la giustizia, la fratellanza, la solidarietà» come in Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, una favola scritta per i propri figli ma che è diventata la favola di tutti. Una storia d’amicizia e integrazione, ma anche di coraggio e denuncia verso il modo di vivere degli umani, non curanti della “peste nera” che stanno causando: «Disgraziatamente gli umani sono imprevedibili. Spesso con le migliori intenzioni causano i danni peggiori».
Nei racconti lo stile di Sepúlveda diventa sempre più fiabesco e popolare, e la sua scrittura diventa un ponte tra l’esperienza personale e il mondo delle favole che avvicina i più piccoli a temi importanti come il rispetto ambientale e apre gli occhi ai grandi. Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa, ultima pubblicazione di Sepúlveda, racconta attraverso la voce di una balena la sua battaglia per difendere la sua specie e il mare dall’uomo: «Non ci ammazzavano per paura della nostra specie; lo facevano perché gli uomini temono il buio e noi balene possediamo la luce che li libera dalle tenebre». Una storia che, ancora una volta, unisce la favola della leggendaria balena bianca all’esperienza di Sepúlveda con Greenpeace nella lotta contro la caccia ai cetacei. Una scrittura popolare ed emotiva per risvegliare la coscienza dei propri lettori.
Carcere, torture, esilio, battaglie politiche e ambientali, un grande amore perso e poi ritrovato. La vita di Luis Sepúlveda è difficile da raccontare, se non attraverso le pagine dei suoi romanzi e delle sue favole. Quando in un’intervista per La Repubblica gli chiesero se avesse paura della morte e lui rispose: «Ho fatto l’abitudine. E poi la vera saggezza è sapere quando le cose finiscono. Soprattutto uno scrittore deve sapere quando dire basta. Non ripetersi. Perché scrivere deve essere un gesto libero e non una condanna».