Dal 4 maggio inizia la “fase 2” dell’emergenza, quella che consentirà a 3 milioni di persone – secondo le stime della ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli – di ritornare presso le proprie abitazioni. Il numero dei contagi in Lombardia è ancora alto e una fuga da Nord potrebbe peggiorare le condizioni delle regioni del Sud, dove i numeri dell’epidemia risultano meno preoccupanti. Impresse ci sono ancora le immagini dello scorso 7 marzo, giorno in cui la Lombardia venne dichiarata zona rossa. Dal governo filtrò l’intenzione di chiudere le regioni più colpite e da Milano cominciarono e diffondersi le immagini del fiume di persone che, con valigia alla mano e passo veloce, si dirigeva verso i binari della stazione Garibaldi. Fu descritto come un “esodo”, stessa parola che adesso rimbalza sui siti di informazione con riferimento a quanto potrebbe verificarsi il 4 maggio. Ma prima di prevedere cosa accadrà con l’inizio della fase 2, prima è bene fermarsi un attimo per riavvolgere il nastro fino alla sera del 7 marzo.
Come scritto da Jaime D’Alessandro su La Repubblica, la “grande fuga” dell’8 marzo non c’è mai stata, o meglio: «era già avvenuta». Quando? Il 23 febbraio per essere precisi, appena due giorni dopo il primo caso di coronavirus in Italia riscontrato a Codogno, in Lombardia. Durante quella domenica – secondo l’azienda svizzera Teralytics – da Milano partirono ben 9.149 persone, circa 4.000 in più rispetto alla media. 4.210 si spostarono con l’aereo, 2.654 in macchina e 2.285 in treno. «Era appena stato deciso lo stop delle attività scolastiche in Lombardia, Piemonte, Veneto e Friuli e fu quella con buona probabilità la vera molla dell’esodo», scrive D’Alessandro. In quel giorno l’Italia raggiunse i 152 positivi e 3 morti, numeri lontani da quelli del 7 marzo – giorno della “grade fuga” – dove i casi arrivarono a quota 5883 e i morti a 233. Ma nonostante i numeri e l’annuncio del lockdown delle regioni del Nord, da Milano partirono 835 persone di cui solo 166 in treno, la maggior parte optò per l’aereo (414) e l’auto (257). I numeri di Teralytics – che arrivano ad un accuratezza del 95% – fotografano una situazione diversa rispetto alla psicosi ripresa dagli smartphone della stazione Garibaldi. Guardando i numeri dell’azienda di Zurigo dunque la cosiddetta “grande fuga” dalle regioni più colpite, non c’è mai stata, men che meno in treno.
Ora il Dpcm del 26 aprile mette nero su bianco la possibilità per i fuorisede di ritornare nella propria residenza, cosa che non era prevista dei decreti precedenti. «E’ in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza», si legge all’articolo 1. Da qui nasce le preoccupazione dei governatori del Sud che nel caso di Campania e Puglia hanno già emanato un ordinanza che impone la quarantena di due settimane per chi ritorna da Nord. Ad alimentare la preoccupazione sono le parole della ministra Paola De Micheli secondo la quale «si metteranno in movimento circa 3 milioni di persone sull’intero territorio nazionale». Non solo, Trenitalia ha già comunicato il potenziamento della tratta Milano-Napoli, già piena alla data del 4 marzo. Stessa cosa per i biglietti aerei: il sito di Alitalia non offre soluzioni di viaggio a partire dall’inizio della “fase 2”. Ma i presupposti per una “grande fuga” sono tanti quanti quelli che lasciano pensare il contrario.
Per prima cosa, la difficoltà nella prenotazione dei biglietti potrebbe essere dovuta più alla limitazione dei posti disponibili, per ragioni di distanziamento sociale, che per un effettivo assalto alle biglietterie. Rispondendo al Question time in Parlamento Paola de Micheli ha parlato della necessità di contingentare la vendita dei biglietti «al fine di far osservare tra i passeggeri la distanza di almeno un metro», un provvedimento ribadito nelle linee guida varate dal ministero dei Trasporti che prevedono il distanziamento sociale attraverso un meccanismo di prenotazione a “scacchiera”.
Per quanto riguarda il lavoro, invece, la ripresa di alcune attività, e la prospettiva di un’ulteriore tranche di riaperture a metà maggio, potrebbe frenare l’esodo dei lavoratori dei settori interessati. Dal 4 maggio infatti riaprirà il settore manifatturiero, quello delle costruzioni e del commercio all’ingrosso collegato. Inoltre sono già 192.443 – secondo l’Agi – le richieste di apertura varate in tutta Italia, uno strumento che permette alle imprese di rimettersi in moto con una semplice comunicazione alla prefettura di riferimento. Ma il maggior numero di richieste sono state presentate proprio dalle regioni del Nord: Lombardia (23%), Veneto (16,4%) ed Emilia Romagna (16,4%).
Poi c’è il capitolo studenti. Le regioni del Nord ospitano un elevato numero di universitari fuorisede che potrebbero decidere di spostarsi verso Sud per raggiungere casa, a patto che non lo abbiano già fatto prima. Infatti è dal 23 febbraio che Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna hanno diposto la chiusura delle attività didattiche, comprese le lezioni universitarie. E’ probabile quindi che i fuorisede abbiano già deciso di tornare nel periodo compreso tra il 23 febbraio e l’8 di marzo, giorno del lockdown nel Nord Italia. Non a caso, è proprio durante 23 febbraio che da Milano – secondo Teralytics – partirono quasi 10 mila persone dirette verso Sud.