Circondata da sua nonna e dalle sue bambole di pezza, la piccola originaria dell’Espírito Santo era serena mentre aspettava l’inizio della prima fase della procedura. Assieme alla nonna aveva già dovuto farsi i 183 chilometri che separano São Mateus – la città di cui sono originarie – dalla capitale Vitòria, dove avevano tentato senza successo di ottenere l’interruzione di gravidanza. Dopo il rifiuto da parte della clinica locale, e per evitare ritorsioni da parte del resto della famiglia e dei gruppi locali, le due hanno dovuto affrontare un viaggio di più di duemila chilometri per arrivare fino a Recife, la capitale del Pernambuco, nel Nord-Est del Paese, dove l’ospedale guidato dal dottor Olympio Moraes Filho e specializzato in questo tipo di procedure, ha aperto loro le porte.
In Brasile l’aborto non è legale, la legislazione che lo riguarda è vecchia di 80 anni, ma è consentito in alcune condizioni, due delle quali erano presenti nel caso in questione: l’essere vittima di stupro e il rischio per la vita della bambina. Un giudice locale ha quindi concesso l’autorizzazione alla procedura, che avrebbe dovuto rimanere segreta. La notizia, però, è trapelata in rete, e subito gruppi di attivisti evangelici neo-pentecostali, una religione diffusa, tramite il proselitismo di decine di chiese diverse in ormai quasi il 35% della popolazione, hanno organizzato un sit-in per impedire l’ingresso dei medici in ospedale.
Figlia di una madre che se n’è andata fin da subito e di un padre tutt’ora in carcere, violentata ripetutamente da uno zio, un ex-detenuto, da quando aveva 6 anni, la vittima ha perso, per colpa della strumentalizzazione politica e religiosa, ogni diritto e privacy inerente a casi di violenze simili. Fuori dalla clinica, un gruppo di persone, mentre provava a sfondare i cordoni della polizia, ha gridato per ore “assassino” al dottore e alla stessa bambina.
La folla era capitanata da alcuni deputati conservatori che assieme formano il cosiddetto “blocco evangelico”, tra i quali Joel da Harpa, del PP, il Partido Progressista, in cui in passato ha militato anche lo stesso Jair Bolsonaro, il cui nome asseconda quella logica tutta brasiliana per cui le denominazioni dei partiti spesso non vogliono dire nulla, essendo questo un partito nazionalista, conservatore e di destra estrema. Era presente anche il deputato dello Stato del Pernambuco, Alberto Feitosa del PSC, il partito sociale cristiano, che per non farsi mancare niente ha l’ichthys come logo politico. Assieme a loro anche Clarissa Tércio, sempre del PSC, Clayton Collins del PP, oltre a Teresinha Nunes del PSDB, un partito storico e oggi il secondo del Paese.
Dopo aver inutilmente provato a sfondare i cordoni di sicurezza, a protestare e a urlare slogan violenti contro la struttura ospedaliera e i medici coinvolti, i manifestanti si sono inginocchiati e si sono messi a pregare con le mani alzate al cielo davanti all’ospedale. Tra i gruppi che si sono mobilitati per protestare contro la procedura ci sono il Movimento per la Vita e il gruppo cattolico di Pernambuco, Porta Fidei, a cui è stato cancellato l’account Instagram dopo che in alcuni post era stata paragonata l’interruzione di gravidanza al nazismo, oltre che per aver divulgato informazioni sensibili sulla vittima, come l’indirizzo dell’ospedale in cui è stata eseguita la procedura. La leader del gruppo, Thais Maranhão, ha registrato un video davanti all’ospedale in cui dava degli assassini al personale sanitario. Conosciuto a Recife per le sue posizioni estremamente conservatrici, Porta Fidei è stato fondato nel 2012 ed è diventato il bersaglio di una petizione online per rispondere legalmente dei disordini avvenuti davanti all’ospedale.
«Queste proteste non sono certo un fatto nuovo», dice a Zeta Pino Schirripa, Professore di Antropologia Religiosa e Medica presso il dipartimento di “Storia, Cultura e Religioni” dell’Università La Sapienza. «Fatti del genere avvengono anche in altre parti del mondo, come in America del Nord, dove gruppi fondamentalisti si rendono responsabili di minacce ai medici che si limitano ad applicare la legge».
Quello pentecostale è un movimento variegato e complesso, con tante piccole Chiese riunite a volte in federazioni e non una sola grande Chiesa pentecostale. «Rappresenta un certo modo di intendere la fede in cui il rapporto è meno mediato dal personale ecclesiastico, in quello che di fatto per loro costituisce un ritorno ai “fondamenti”. Lo stesso termine “fondamentalismo”, che noi sentiamo spesso riferito al mondo islamico, nasce in ambito cristiano, inteso come ritorno ai precetti dalla fede, quelli contenuti nella Bibbia».
Il fenomeno nasce nel primo Novecento in America, in quello che viene definito “Secondo risveglio spirituale” tramite le dottrine di William J. Seymour. A contraddistinguerlo era l’idea che il mondo sarebbe finito presto. «Nella Pentecoste cristiana, i discepoli festeggiavano 55 giorni dopo la Pasqua ebraica, la discesa dello Spirito Santo, il famoso simbolo della colomba, che lascia loro dei doni, i cosiddetti “carismi”, quali la capacità di parlare più lingue diverse, la preveggenza e la guarigione. Ecco, per i cristiani questo avviene una sola volta. Per i Pentecostali il fatto che lo Spirito visiti i retti e giusti è un qualcosa di continuo».
«La situazione però è più complessa di quanto si possa immaginare, perché anche politicamente non sono per forza inquadrabili. Adesso si parla molto in Brasile di “blocco evangelico” che starebbe dietro a Bolsonaro, ed è vero, però non ci si ricorda che alcuni gruppi pentecostali stavano anche dentro la coalizione che portò al potere Lula». Sono così, li troviamo sia a destra che a sinistra. «In Italia, a lungo perseguitati, almeno fino al 1955, ad esempio, per un particolare sviluppo, molti pentecostali sono di sinistra, progressisti, sono gruppi che agiscono molto nei confronti della solidarietà coi migranti, l’inclusività, gruppi assolutamente anti-nazionalisti».
L’attuale forma diffusa nei Paesi del Sud America così come in Africa e in Asia è la cosiddetta “Terza ondata di pentecostalismo”. «È il “Vangelo della prosperità”: se tu sei un bravo fedele, Dio ti premia, ma non con il Paradiso, come per i cattolici, Dio ti premia ora, ti fa diventare ricco, fa di te un uomo di successo». In questo per valori si distanzia completamente dal pentecostalismo nostrano. «In America Latina si è spesso politicamente legato all’ideale neoliberista: il potere e l’impegno del singolo, che si fa ideologia egemone a tutti i livelli, accompagnata da una religione che fornisce strumenti ulteriori a suo suffragio».
«È questo continuo modo di vedere la ricchezza materiale come fosse dono di Dio. Gli stessi pastori girano su macchinoni esclusivi, con le ultime trovate tecnologiche, l’ultimo modello di Iphone, non tanto per vanità o per sfoggiare il lusso, ma per dimostrare ai fedeli: “vedi, se seguirai la fede un giorno potrai riuscire ad essere un uomo di successo quanto me”»
Gli attivisti evangelici neo-pentecostali, dopo che la notizia riguardante la bambina è trapelata, nel sit-in di protesta dai toni accesi organizzato fuori dal Centro sanitario integrato Amauri de Medeiros di Recife hanno gridato: «Il diritto alla vita conta più dello stupro».
In risposta alle proteste di questi gruppi religiosi, alcune donne hanno invece manifestato a loro volta davanti all’ospedale per difendere il diritto della bambina a conseguire l’aborto, erano le rappresentanti del Fórum De Mulheres de Pernambuco, come riportato anche dall’Instituto Marielle Franco.
La notizia dell’interruzione di gravidanza in corso era stata esposta al pubblico ludibrio, in quella che costituisce una gravissima violazione dei diritti della vittima, su tutti quello dell’anonimato, da Sara Winter Giromini, attivista di estrema destra, che sui suoi social, ora sospesi, ha fornito i dati della bambina così come la localizzazione del presidio sanitario in cui stava per svolgersi la procedura. In risposta, quasi come legge del taglione, il gruppo di hacker Anonymous Brasil ha reso pubbliche tutte le informazioni personali riguardanti la giovane attivista pro-Bolsonaro in un lungo thread dal titolo “Sara Winter Exposed” contenente numeri di telefono, indirizzi e persino il CPF, il Cadastro Pessoa Fisica, che per i Brasiliani è un codice molto importante, simile al Social security number statunitense.
«Obbligare una bambina ad affrontare una gravidanza forzata è a tutti gli effetti una tortura» ha affermato Olímpio Moraes, il dottore responsabile di affrontare il procedimento di interruzione di gravidanza. Moraes ha raccontato di aver vissuto un momento di profonda tristezza vedendo tutta quella folla di persone con la bava alla bocca alle porte dell’ospedale, contenute a forza dalla sicurezza, mentre provavano a sfondare gli ingressi per cercare di impedire che la procedura sanitaria fosse portata a termine.
Il medico ha anche sottolineato che il caso della bambina di 10 anni è raro, poiché non è comune per una bambina di questa età ovulare e rendere così possibile la gravidanza, sottolineando perciò che se la gravidanza non fosse stata interrotta, probabilmente avrebbe causato complicazioni gravi perché la bambina non possedeva ancora un corpo sviluppato in grado di reggere.
Lo zio, lo stupratore, poche ore prima di essere catturato nel piccolo comune di Betim, nel Minas Gerais registra un video, lo gira con il cellulare: si inquadra accovacciato a terra e con sguardo di sfida rivolto all’obiettivo dichiara che lui presto si costituirà, troppe pressioni, ma che pretende che lo stesso test per stabilire la paternità venga fatto anche all’altro zio e al nonno della bambina. Il cerchio si allarga, la piccola di São Mateus, potrebbe essere stata vittima di tre diversi uomini, sotto lo stesso tetto.
Non è un fatto inedito per il Brasile, un Paese in cui ogni ora, quattro ragazze di età inferiore ai 13 anni vengono violentate, secondo quanto riporta l’Annuario brasiliano di pubblica sicurezza. La cosa più grave è che la maggior parte di questo tipo di crimini sono commessi da un altro membro della famiglia. Nel 2018, ultimi dati disponibili, ci sono stati più di 66.000 stupri in Brasile, il 53,8% delle ragazze sotto i 13 anni.
La dinamica della violenza familiare in Brasile sembra essere diffusa e interclassista, quello che cambia tra le varie classi sociali è spesso più che altro se le persone coinvolte vengono punite per i crimini o riescono a farla franca. A fronte di condanne di neri e favelanos, appartenenti agli strati più deboli della popolazione, esiste anche un’ampia letteratura di casi in cui, per gli stessi capi di imputazione, bianchi di classe medio-alta hanno avuto dalla magistratura, esiti giudiziali molto differenti.