Giustino è sulla strada dopo trent’anni di lavoro. Ogni sera va a Paderno Dugnano e dorme in un capannone abbandonato. Ce l’ha con la Fornero e gli extracomunitari ma salva la sanità lombarda: «Mi sono preso il Covid e mi hanno curato in ospedale, su questo non ho niente da dire». Claudio ora sta meglio, dopo un anno senza lavoro ha trovato un’occupazione e un posto dove stare: «Da lunedì non sono più in giro, per me la pandemia finisce qua».
Angelo dorme a piazza Firenze oppure sul 90, il filobus che gira attorno a Milano. La biblioteca gli manca tanto: da quando è chiusa per Covid non può stare al caldo e lavarsi. «Io lì leggevo fumetti». Le biografie degli ultimi sono queste, alla povertà materiale si sommano storie di solitudine. Se ai milanesi moderni e europei il lockdown ha regalato Netflix e smart working, a tanti altri ha inflitto una rottura dei rapporti sociali.
«Ogni giorno vengono da noi tra le 2 e le 3 mila persone, nell’ultimo anno soprattutto giovani che non arrivano alla fine del mese. Gente che prima aveva un lavoro, magari in nero, e conserva ancora una casa – ci dice fra Giuseppe Fornoni, che gestisce la mensa dell’Opera San Francesco – Dopo la crisi del 2008 venivano di più gli anziani, oggi sono aumentati i Neet e tanti ospiti con storie diverse». I camerieri filippini licenziati in tronco, il parcheggiatore disoccupato. Una moltitudine che viveva di piccoli flussi di reddito che sgocciolavano dall’alto dei successi del terziario cittadino e che oggi, con le luci spente dal virus, non arrivano più.
Il mondo dell’assistenza milanese si è attivato e reinventato con forza: la Caritas con le parrocchie, l’ambiente progressista di Emergency, il Banco Alimentare nato da CL, Pane Quotidiano con il Rotary Club. Con qualche invidia e momentanea alleanza, remano tutti dalla stessa parte. Volontari e «utenti», come li chiamano i City Angels di Mario Furlan, che a tarda sera regalano coperte e tè caldo a chi un tetto non ce l’ha; fino all’una di notte su un furgone rosso, tra i quartieri Cadorna e Gratosoglio. O volontari e «nostri ospiti», come ripetono i frati di San Francesco alla mensa di viale Piave.
Lì vediamo una coda di mamme con i passeggini, giovani immigrati al telefonino, gruppetti vocianti di badanti dell’Est, maschi anziani con lo sguardo perso. Gli stranieri accanto ai pensionati milanesi, le colf rumene assieme a chi ha perso il lavoro da lavapiatti, commesso, fattorino all’ortomercato. Solo adesso ci si accorge quanto fosse largo il retroterra di lavoro irregolare e di part time involontario femminile; lo spazio dell’economia sommersa, nella Milano delle special week a raffica.
Prima puntata:
Poveri – Quelle vite sospese dal Covid
«A Palermo non è cambiato niente», voci dalla città senza lavoro
Mense popolari e spese solidali, le nuove povertà affamate d’affetto