Me lo ripeto alla fine di ogni passaggio. Nove chili in più si sentono tutti, come uno zaino sulle spalle. La distanza è la stessa, ma quel circuito di 500 metri sembra dilatarsi con il passare dei minuti. L’ho ribattezzato Gianelli Arena, dal nome dell’istituto scolastico di fronte casa, intorno al quale faccio anche venti giri. Ho poi aggiunto una sfumatura americana, che rendesse il mio “tempio” dello sport accattivante, una versione ironica del leggendario Staples Centre di Los Angeles.
Gli allenamenti sono ripresi da due settimane. Stavolta un’ora di corsa lenta, che sembra non passare mai. Mi chiedo se il gps funzioni. Ho i battiti alti, le gambe che bruciano, come è possibile che vada così lento? Non devo mollare, è questo il momento che farà la differenza. «Testa, testa», ripeto e mi sforzo di non fissare il cronometro in modo compulsivo. Poi finisco. Stanco mi appoggio al palo di un lampione per allungare i muscoli. Distanza percorsa 10.000 metri, 5 minuti/km il passo. Vorrei prendermi a schiaffi.
19 settembre 2021, meno di sette mesi alla Maratona di Roma. Per me un giorno speciale: compirò 36 anni. Ma riprendere è dura, non come quando ero ventenne. E poi il 2020, che mi ha stravolto la vita. Il cambiamento più grande pesa dieci chili e ha appena capito che verso fanno la mucca e il cane. Lo scorso 30 gennaio Matilde ha spento la prima candelina, e quando torno dalla Scuola di Giornalismo giochiamo a rincorrerci o leggiamo un libro. Se al lavoro non ho scadenze immediate, dopo che si addormenta indosso un antivento giallo fluo e sgattaiolo fuori dalla porta, attento a non far rumore. In strada l’aria è più calda rispetto a qualche giorno fa. Si sta bene.
Nel riscaldamento ripasso i “compiti”. Il programma di allenamento lo manda un amico, ex atleta professionista. Nato in un piccolo villaggio del Marocco, El Fadil è venuto in Italia a sette anni. Tutte le mattine prende il treno da Colleferro per raggiungere il Policlinico Umberto I di Roma, dove fa l’operatore socio-sanitario. È lì che ci siamo conosciuti, quando facevo un altro mestiere. «Dottò, come stai? Me lo devo fare il vaccino?», ha domandato l’ultima volta al telefono. Poi mi ha pregato di inviargli i tempi su WhatsApp. Mi vergogno, mentre fisso il cronometro e ripasso i dati delle ultime uscite. Però meglio non esagerare, come avevo fatto a gennaio. Risultato? Periostite a entrambe le tibie, un’infiammazione della membrana vascolarizzata e innervata che avvolge quasi tutto l’osso. Giusto andare per gradi, non rischiare altre settimane di inattività.
Certo, nel 2019 ero abituato bene, ogni mese toglievo minuti ai miei personal best. Ma dopo la Maratona di Valencia, a dicembre, non c’è stato più spazio per correre. Altre le priorità. Poi il richiamo, irresistibile. I compagni di squadra hanno riso quando ho dichiarato il crono finale: 3h05’. «‘Ndo vai?», hanno detto. Io rimango umile, ma consapevole del mio punto forte: la determinazione. La dieta è iniziata, gli esercizi di potenziamento pure. La mia palestra è funzionale e casareccia, tra addominali e squat c’è il rischio di inciampare nei peluches parlanti con il volto di Minni.
Guardo l’ora: le 21. Con gli occhi seguo il fiato caldo salire in aria. Il silenzio è interrotto solo dal rumore di qualche auto che parcheggia e dal cancello automatico del condominio. Ne approfitto per rientrare, domani sarà una giornata lunga. Sul portone incontro il mio vicino di casa. Anche lui corre e sta per diventare papà. Mi sorride. «Roma?», domanda. Annuisco. Tra runners ci si intende, come fossimo studenti universitari che si confrontano sul prossimo esame da preparare. Di solito mi chiede suggerimenti. Se sapesse che da programma ci sono ripetute e variazioni di ritmo, sarebbe meno curioso e intraprendente.