Solo 43 civici dividono il punto in cui sorgeva la toelettatura per animali di Pietro De Negri – «Er Canaro», protagonista di un efferato omicidio – dai locali che oggi ospitano una delle associazioni più attive del quartiere. Eppure quella di Vivere La Gioia è tutta un’altra storia. Anche se rischia di non avere un lieto fine.
Via della Magliana 296 – lunga e stretta, spesso trafficata, incastonata nel quadrante sud-ovest di Roma. È qui, nell’ex scuola Quartararo, che i 40 volontari della onlus percorrono a passi rapidi i 100 mq di magazzino per scaricare e stipare derrate alimentari, confezionare i pacchi con il cibo per i più bisognosi, recapitarli a casa di chi non può muoversi. Un lavorio laborioso, andato in scena l’ultima volta venerdì. Dopo oltre 20 anni di attività, Vivere La Gioia è costretta ad andarsene. Il suo posto lo prenderanno gli uffici del municipio XI, commissariato dalla sindaca Raggi nel 2019. Data prevista, il 6 aprile.
«Il comune ci ha proposto una nuova sede in zona Marconi, ma quando siamo andati a fare un sopralluogo abbiamo notato che il locale era pieno di topi e mancava l’elettricità. Ci siamo sentiti presi in giro». Parla Fosco Ieva, pastore evangelico e presidente dell’associazione. Ci tiene a dire che «non vuole farne una questione politica», ma la delusione per lo sfratto impellente e l’assenza di una sede alternativa trasuda da ogni parola. La sua è una rete di solidarietà cucita negli anni e puntellata di collaborazioni. Come quella con il Banco Alimentare, che si occupa di raccolta e recupero di cibo, e altre piccole realtà di volontariato. Poi il supporto di supermercati, ristoranti, cittadini. Tutto spazzato via. 250 famiglie, circa 1000 persone provenienti anche dai quartieri limitrofi di Portuense, Trullo e Corviale, private del loro punto di riferimento.
Gabriella non si dà pace. Gira e rigira tra le mani la lettera che ha scritto per la sindaca Virginia Raggi. «A nome di tutti i volontari», ci tiene a precisare. «Sono la chef della mensa dei senzatetto, la volontaria più anziana, è come se fossero tutti miei nipoti». Ricorda con gli occhi tristi il venerdì in cui ha dovuto comunicare alle famiglie arrivate per il ritiro dei pacchi alimentari che Vivere La Gioia si sarebbe dovuta fermare. Senza sapere se e quando avrebbe ripreso. «Quelle facce me le ricordo bene, non è stato facile. È gente che ha bisogno».
Ma il 6 aprile è alle porte e l’associazione ha iniziato a trasferire le scorte al Circolo Pietro Nenni, distante pochi metri. Che però non potrà ospitare gli alimenti a lungo, poiché destinato ad attività sportive e di supporto psicologico.
«Perché non dare un altro locale qui in zona», si chiede Marisa. La sua c aspirata ne tradisce la provenienza toscana, 40 anni nella Capitale non l’hanno smorzata. È una delle persone che una volta a settimana vengono a ritirare il pacco alimentare. «Se sto bene vengo io, altrimenti me lo portano a casa i volontari», ci tiene a specificare. È vedova da un anno e mezzo, da sola non ce la fa ad arrivare a fine mese. Anche Paolo, giacca di pelle e 72 anni portati più che bene, ogni venerdì è al 296 di via della Magliana. «Prendo il pacco perché un aiuto di questi tempi fa sempre comodo». Prima della pandemia faceva il batterista. «Adesso – dice – tengo le braccia allenate aiutando a scaricare il furgone della onlus». Gli alimenti vengono donati in base al reddito, solo durante il primo lockdown Vivere La Gioia ha fatto un’eccezione e aiutato chiunque arrivasse.
Fosco, Gabriella, Marisa e Paolo sanno che tra pochi giorni dovranno lasciare gli spazi dell’ex scuola Quartararo. Ma non si arrendono e provano a ricucire con le loro mani il buco che il comune ha aperto nella rete della solidarietà. «Sperando di trovare qualcuno con un cuore che ci voglia ascoltare», scriveva il presidente di Vivere La Gioia in una delle tante e-mail spedite alla sindaca Raggi. Finora, nessuno ha risposto.
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