La deadline europea del 30 aprile sarà rispettata. Mario Draghi consegnerà il Recovery Plan entro i tempi previsti, dopo la presentazione in Consiglio dei ministri – attesa per venerdì – e la discussione alle Camere il 26 e 27 aprile. A chi gli ha fatto notare che il Parlamento avrà poco tempo per esaminare il piano, diverso rispetto a quello di Conte, il premier ha replicato con ironia: «È scritto molto bene, sarà semplice leggerlo». La Commissione europea avrà poi due mesi per valutare i Recovery Plan nazionali: i primi soldi dovrebbero arrivare nella seconda metà del 2021.
Il Recovery Fund fa parte di Next Generation Eu, il piano proposto dall’Unione europea per far ripartire l’economia del continente. Gli Stati membri raccoglieranno debito europeo per 750 miliardi: 390 di sovvenzioni ai Paesi e 360 distribuiti come prestiti. Entro il 2026 l’Italia riceverà più di 190 miliardi e sarà il maggior beneficiario del piano, essendo lo Stato più colpito dalla crisi.
Bruxelles chiede che nei piani nazionali siano indicati i cronoprogrammi delle spese e i target per ogni progetto. Due volte all’anno gli Stati chiederanno all’Ue il rimborso delle spese sostenute per i progetti concordati: se gli obiettivi intermedi non saranno rispettati, la Commissione non autorizzerà il rimborso e concederà sei mesi di tempo per recuperare il ritardo. Per il momento sono 26 i Paesi che hanno presentato bozze dei Recovery Plan.
A dicembre l’Italia non aveva ancora pubblicato una bozza ufficiale e per mesi è stata indietro rispetto agli altri Paesi. Poi a gennaio il governo Conte ha approvato una prima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ancora privo di cronoprogrammi e target precisi. Il ritardo è stato poi accentuato dal cambio di governo. Il nostro Paese è l’unico, nel gruppo dei grandi, a voler chiedere sia i sussidi che i prestiti europei.
La Spagna, secondo destinatario dei fondi dopo l’Italia, è considerata un modello per come ha lavorato al dossier: già a inizio dicembre aveva inviato una bozza del proprio piano alla Commissione. Come Francia e Germania, il governo spagnolo intende rinunciare ai prestiti del Next Generation Eu: i tassi d’interesse a cui si finanzia sul mercato non sono tanto più costosi rispetto a quelli che dovrebbe rimborsare all’Unione.
La Francia è stata il primo Paese a pubblicare una proposta di piano di rilancio. Ma da settembre ha intrapreso un difficile negoziato con la Commissione, con il ministro dell’Economia Le Maire che ha lamentato la complessità tecnica dei requisiti richiesti. La Germania ha invece approvato a dicembre il suo Deutscher Aufbau- und Resilienzplan. Berlino riceverà circa 29 miliardi di euro, molti meno di Italia e Spagna.
Le priorità di spesa sono state indicate dall’Europa. I sussidi e i prestiti possono finanziare investimenti e riforme degli Stati, con l’indicazione di non pagare spesa corrente e bonus. Inoltre, almeno il 37% dei fondi dovrà andare alla trasformazione verde e almeno il 20% alla transizione digitale. Sulla base delle bozze che circolano, si possono confrontare le spese dei vari governi nei singoli settori.
Dei 191 miliardi previsti dal Pnrr, 57 sono destinati alla transizione ecologica e più di 43 alla digitalizzazione (quasi tutti per nuovi progetti); 32 miliardi vanno all’istruzione e alla ricerca e 25 alle infrastrutture. «Solo» 17 miliardi alla voce inclusione sociale e 15 per la salute, che resta all’ultimo posto come nel piano di Conte. Se la Francia è prima per spesa nell’agricoltura e nell’efficienza degli immobili, oltre che per giovani e industria, la Spagna spenderà molto in ricerca e sanità (il 16% dei fondi) e in istruzione (il 18%).