«Il dissenso c’è, ma almeno fino a domani si percorre la strada della disciplina»: c’è tensione oggi allo sciopero indetto dai segretari CGIL e UIL Maurizio Landini e Pier Paolo Bombardieri, ma contrastato dalla CISL del segretario Luigi Sbarra. In piazza del Popolo, a Roma, durante il corteo, c’erano malumori per la scelta della Cgil e Uil di manifestare contro la manovra del premier Mario Draghi, rompendo il clima di unità nell’emergenza Covid-19 e durante i piani di investimento PNRR. Soprattutto all’interno del sindacato di Landini ci sono attriti sull’opportunità dello sciopero, «tanti stanno zitti per opportunismo, secondo il vecchio mantra, prima si fa lo sciopero, poi lo si analizza e, se ce n’è bisogno, infine si critica».
Ad alimentare il dissenso interno sono, spiega a Zeta un sindacalista veterano che chiede l’anonimato per non rompere l’unità all’esterno, «ragioni di ordine politico e di merito». A molti militanti, infatti, le condizioni poste da Draghi appaiono «l’esito inevitabile della presa di coscienza dello scenario economico italiano e delle imposizioni europee». Spostare quindi un equilibrio di governo fragile, eppure necessario, in virtù del difficile momento che stiamo vivendo, sarebbe assurdo, come -dice il nostro interlocutore «modificare un quadro europeo che non offre margini larghi di autonomia ai singoli paesi». «Il presidente Draghi è espressione di quella stessa Europa che ci pone vincoli, piuttosto che andare all’attacco frontale- suggeriscono dalla Cgil i critici del segretario «sarebbe più opportuno farne il perno della mediazione con l’UE». A corroborare la loro tesi citano un dato evidente: «Nessun sindacato, negli altri paesi europei, sta indicendo scioperi, la strategia preferita resta la mediazione con i singoli governi nazionali».
«In secondo luogo – obiettano gli scettici sulla strategia di Landini – anche le singole rivendicazioni non sono prive di problemi. La polemica sulla riduzione da cinque a quattro scaglioni Irpef è pretestuosa e priva di guadagno reale per i ceti meno abbienti. La richiesta del congelamento dell’Irpef per gli autonomi che dichiarano fatturati superiori a 75mila euro l’anno, i cui ricavi dovrebbero andare a coprire i rincari delle bollette, rischia di spingere noi del sindacato in un cul de sac. La misura penalizzerebbe, infatti, alcune professioni del lavoro dipendente e non raccoglierebbe somme di denaro rilevanti dagli autonomi, dove i tassi di evasione sono alti». «La trattativa – spiegano a Zeta dirigenti e attivisti Cgil – è arrivata ad un punto in cui, se il governo accetta, il sindacato rompe il fronte dei lavoratori dipendenti e favorisce così l’evasione». Altro punto contestato è la gestione della contrattazione. Lo zelo con cui si fa pressione per far sì che i lavoratori ottengano il contratto nazionale spacca i lavoratori in due categorie: da una parte quelli che sono ipergarantiti, dall’altra precari e giovani. «Sarebbe più opportuno – osservano dall’interno della Cgil stessa – che si iniziasse una seria contrattazione sul salario minimo europeo per tutti i lavoratori, a meno che il sindacato non voglia dar prova del suo ritardo rispetto all’evoluzione degli scenari».
Il rischio, arrivati a questo punto, è «ripetere l’errore fatto dalla Grecia che ha spinto troppo con il ministro del Tesoro Varoufakis e poi si è fatta aggiogare dalla troika internazionale, assistendo impotente alla caduta del premier di sinistra Tsipras e al ritorno dei conservatori al governo del paese». Un vuoto di memoria che potrebbe costare caro ai lavoratori italiani, provocandone la disaffezione dal sindacato: queste voci non risuonano oggi dal palco delle manifestazioni Cgil e Uil ma, da domani, accenderanno le assemblee nelle fabbriche e negli uffici.