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Esclusiva

Gennaio 18 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 6 2022
Quando l’Alzheimer logora, il Cafè ristora

Alzheimer Cafè, un progetto improntato su una serie di attività di gruppo che mettono al centro la persona e i suoi bisogni

Roberto Pacifici, ex cardiologo di Amelia (Terni), e Angelo Bernardone, ex metalmeccanico di Casalbordino (Chieti), condividono lo stesso tragico destino: quello di aver ucciso, tra Natale e Santo Stefano, le rispettive mogli malate di Alzheimer che ormai si trovavano all’ultimo stadio della malattia. In questa fase, l’omicidio diventa una sorta di eutanasia nei confronti del malato e una via di uscita per salvare sé stessi dal crollo psicologico, derivante dalla presa di coscienza che la persona sia incapace di riconoscere i propri cari. «L’Alzheimer non è la malattia del singolo, ma dell’intera famiglia, in cui avviene una ‘perdita ambigua’ della persona che, pur essendo fisicamente presente, diventa un guscio vuoto. E questo porta anche il care giver ad ammalarsi di depressione, ad assumere atteggiamenti autodistruttivi e ad uccidere», spiega la dottoressa Liana Diana, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale di Lanciano.

Da due anni, Diana si è avvicinata alla psicogeriatria anche grazie al progetto dell’Alzheimer Cafè, in collaborazione con il dottor Francesco Paolo Colacioppo, geriatra da oltre venticinque anni e responsabile dell’ambulatorio di Psicogeriatria nel distretto sanitario di Lanciano (Chieti). La vera difficoltà deriva dal modo di percepire l’Alzheimer perché c’è la convinzione secondo cui, una volta diagnosticato, non ci sia più niente da fare. Così, si tende a percepire l’anziano come una persona non più produttiva né degna di attenzione e a cercare la soluzione più semplice: sedarlo con gli psicofarmaci, piuttosto che chiedersi quali siano i suoi reali bisogni. «Viviamo la dittatura della necessità, della tecnica, dell’efficienza, nella quale chi si ferma è perduto, isolato, ghettizzato. Chi non ricorda è fuori», così Colacioppo, nel suo articolo La bellezza che cura pubblicato sulla rivista “Sezione aurea”, descrive la tendenza ad abbandonare chi si ammala di Alzheimer e a vergognarsi della sua condizione.

«Immagina di svegliarti in un Paese che non conosci, dove le persone ti parlano in una lingua sconosciuta. Non sai come ci sei arrivato né sai come andartene. Come reagiresti?». Con questa immagine, la dottoressa Diana racconta la percezione distorta della realtà nell’anziano e la sua difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno. L’Alzheimer Cafè nasce proprio per ristabilire una connessione tra le due realtà, da un’idea dello psicogeriatra olandese Bère Miesen che, nel 1997, lo ha concepito come uno spazio di incontro tra anziani, care giver, medici e psicologi, e di condivisione delle esperienze personali. In questo spazio protetto, si cerca di ricreare un ambiente favorevole alla realtà soggettiva dell’anziano, proponendogli attività di stimolazione cognitiva su misura. Dall’uso dell’abbigliamento per fargli capire in che stagione dell’anno ci si trova, alla “tombola multisensoriale”, dove ad ogni numero corrisponde un prodotto tipico del territorio in cui ha sempre vissuto, fino a disegni, mosaici o alla semplice conversazione: è sempre il paziente a scegliere cosa fare. Ma il Cafè è anche un luogo di confronto tra care giver e psicologi, dove il racconto delle proprie esperienze diventa un modo per trovare delle soluzioni comuni da applicare nella vita quotidiana, una volta usciti dal Cafè. «È fondamentale introdurre una forma di assistenza sanitaria a domicilio per aiutare i care giver ad organizzare l’ambiente circostante e la routine del paziente, per evitare che si senta disorientato. Ma questa è una rivoluzione culturale per la quale non tutti sono ancora pronti, salvo poi rendersi conto dello stato di abbandono dei pazienti e delle loro famiglie soltanto davanti a tragedie come quelle di Amelia e Casalbordino», precisa il dottor Colacioppo, alludendo allo scarso interesse degli enti pubblici ad investire in questo tipo di progetti e al pregiudizio della gente comune nei confronti delle malattie mentali.

Il pregiudizio rimane fuori dalla porta dell’Alzheimer Cafè, dove in poco tempo gli incontri organizzati da Colacioppo e Diana hanno suscitato reazioni sempre più positive nelle famiglie che hanno partecipato, attirate prima dalla pubblicità tradizionale e social, poi dal passaparola. Non solo a Lanciano: dopo aver riscosso successo in quasi tutta Italia, da qualche mese l’Alzheimer Cafè ha allargato i suoi orizzonti con l’iniziativa “Comunità amiche delle persone con demenza”, promossa dalla Federazione Alzheimer Italia, per educare gli abitanti di un borgo ad interagire con le persone affette da Alzheimer e preservare la loro autonomia nella vita quotidiana. Nella speranza di costruire una società non più ghettizzante, ma inclusiva.