Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Febbraio 25 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 27 2022
Come la tv racconta la guerra

“Alle mie spalle. Le notizie in TV”. Il libro di Filippo Nanni è stato presentato presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma, con la presenza delle maggiori testate italiane.

Si respira un clima leggero in aula 211 di Viale Romania. In occasione della presentazione del libro di Filippo Nanni “Alle mie spalle. Le notizie in TV”, i presenti sono tutti colleghi e amici. Dai telefoni che non smettono mai di squillare e le conversazioni serrate si legge la frenesia di una giornata che è iniziata all’alba e che per i giornalisti tarderà a finire, con la notizia dell’invasione russa in Ucraina.

«C’è una sorta di brivido nel raccontare queste storie. Un racconto che non sappiamo quando finisce, che si vive ora per ora». Andrea Vianello, direttore dei giornali radio Rai, apre così l’evento, sottolineando quanto quella del 24 febbraio sia una giornata in cui l’importanza del lavoro dei giornalisti è sotto gli occhi di tutti. «Ci sono dei momenti in cui è davvero complicato». Manda un pensiero ai due inviati sul fronte di Kiev: nonostante ci siano molte preoccupazioni e le loro famiglie siano in pensiero, rimane fondamentale raccontare quello che sta accadendo.

Giorgia Rombolà, giornalista di RaNews24 e conduttrice di Studio24, insieme a Giovanni Floris, conduttore della trasmissione televisiva DiMartedì, racconta invece della necessità di dare, nella narrazione dei fatti, una chiave di lettura che non sia mai banale. Svelano senza rancori di invitare spesso gli stessi ospiti, per poi dover cambiare i piani all’ultimo. «Il giornalista pigro è un ossimoro. Andare fuori, stare sui fatti e raccontare quello che vedi» è anche l’insegnamento di Filippo Nanni nel suo nuovo libro.

Ricordando di un Giovanni Floris giovanissimo che si ritrovò da solo a seguire l’11 settembre da New York, tutti dimostrano preoccupazione per la prossima generazione di giornalisti, con meno possibilità di respirare l’aria della redazione e andare sul campo. L’esperienza da inviato, sempre più rara per i giovani che si approcciano alla professione, «è la parte bella di questo lavoro. Offre l’opportunità di viaggiare, conoscere il mondo e tante persone». Fare il giornalista non vuol dire sapere tutto, ma piuttosto «avere una rete di caduta». È il giornalismo lo strumento attraverso il quale raccontare quello che accade, e non la conoscenza del giornalista che scrive. «Lo scopo è far cadere le bugie» è il mantra di Giovanni Floris.

A conclusione, un monito: «Mai terminare un servizio con ‘da qui è tutto’. Perché non è mai stato detto tutto». Sembrano tutti d’accordo su quale sia la dote più importante per un giornalista: l’autonomia del pensiero. Per non cadere nella trappola dell’omologazione è necessario allontanarsene come persone prima che come giornalisti. Avere il coraggio di raccontare il proprio punto di vista – unico – non dipende dalla professionalità, ma dalla persona che si è. «Puoi seguire le regole. Fare quello che ti viene detto. Ma devi ancora fare il giornalista».