«Ascolta il titolo del tuo romanzo: siamo polvere nel vento, siamo tutti polvere nel vento». È il consiglio di un amico che ascoltando la canzone Dust in the Wind dei Kansas ispira il nuovo libro del giornalista e scrittore cubano Leonardo Padura: Come polvere nel vento, edito da Bompiani e presentato alla libreria Eli di Roma in collaborazione con l’Istituto Cervantes.
Quando Padura nasce all’Avana nel 1955, sapeva già che non avrebbe mai abbandonato il suo Paese. L’isola è il tema centrale nei suoi libri che sono conosciuti in tutto il mondo. Autore di numerosi romanzi (Il romanzo della mia vita, L’uomo che amava i cani, Sentieri di Cuba).
Il ciclo di romanzi gialli che ha come protagonista il poliziotto Mario Conde lo rende famoso. Descrive spesso il triste ambiente della sua terra ben presente anche nella sua ultima opera.
In Come polvere nel vento l’autore racconta la storia di un gruppo di amici, conosciuto come “Clan”: Clara, Dario, Irving e Elisa hanno vissuto e studiato a Cuba. Sull’isola avrebbero voluto realizzare i loro progetti di vita, ma la crisi economica degli anni novanta li costringe ad allontanarsi dalla loro terra, dai loro affetti, dalla casa di Fontanar nella quale tutti si incontravano e dove Clara aveva festeggiato il suo trentesimo compleanno. Subito dopo «per alcuni di loro comincia l’esilio: un destino comune che li fa muovere da Cuba agli Stati Uniti, all’Argentina e alla Spagna» racconta Padura.

L’autore trasporta il lettore con malinconia e lo immerge in una dimensione di «perdita dolorosa», ma anche di amicizia che non cambia nel tempo nonostante la lontananza. «L’amicizia è un sentimento fragile. Bisogna curarlo soprattutto nella distanza affinché questo sentimento non svanisca. È un esercizio che va praticato tutti i giorni».
Nel romanzo Clara rimane a Cuba e Padura si immedesima in lei. Malgrado avesse avuto l’occasione, come Irving, di allontanarsi da Cuba per andare in Messico a ritirare un premio, non riesce a lasciare l’isola.
Il senso di appartenenza alla sua terra è molto forte, anche se non c’è cibo e denaro. «Ho bisogno di Cuba per poter scrivere. Non sono altra cosa e non aspiro ad essere un’altra cosa se non uno scrittore cubano». Restare nel quartiere di Mantilla con «le sue persone»: è il suo obiettivo, anche se può esserci il rischio che il suo racconto possa essere censurato.
«Nei miei libri ci sono le opinioni politiche su Cuba, ma in realtà vivo, creo personaggi che hanno il carattere politico. Dall’origine della letteratura c’è uno sguardo politico interno alle opere d’arte. Un esempio è l’Inferno di Dante che esercita un’azione politica perché sceglie i diversi personaggi e li colloca nei vari gironi dell’Inferno». La politica è soltanto un elemento per l’autore. È dalla letteratura, dalla condizione dell’uomo che nasce ogni cosa.
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