Vincent Van Gogh ha dipinto la morbida luce di Arles, i campi di grano e il parco dell’ospedale dove era ricoverato. Pablo Picasso amava della Camargue, regione a Sud della Francia, la tradizione dello sport con i tori, come tanti potenti disegni testimoniano. La metafora di vita e morte, l’una rappresentata dalla luce d’oro del vestito del matador, l’altra dalla morte sanguinosa del toro. Culto e cultura da difendere, proteste animalisti ma ancora enorme la tradizione intorno al mitico “torò” della corrida.
È la città di Arles, con la sua feria di Pasqua, ad aprire la stagione di tauromachia in Francia, quattro giorni nell’arena della Provenza che è tra le più antiche Plaza de Toros del mondo. Fra imprecisioni, ignoranza e bugie, la lotta uomo contro toro resiste, radicata, legata alle date delle celebrazioni Cristiane e ancora prima alle feste pagane, l’abbondanza e la prosperità sono basi della corrida.
Capita che, per eccezionale comportamento il toro, ottenga l’indulto, un provvedimento generale che causi l’estinzione della pena capitale. Ottenuta la salvezza sarà destinato ad essere il maschio Alfa della ganaderia, l’allevamento del bestiame, dedicandosi alla riproduzione affinché la sua possanza sia trasmessa agli eredi.
Ad Arles è successo il giorno di Pasqua, corrida del pomeriggio, quando un poderoso toro allevato dalla ganaderia Victoriano del Rio ha ricevuto l’omaggio pubblico dell’arena, che ha richiesto, applaudendo e a gran voce, fosse salvato. E alla fine la Presidenza dell’evento ha accettato, sventolando il “panuelo”, foulard colorato che indica regole precise, per l’indulto l’arancione. Se la corrida è la rappresentazione della vita, deve avere in sé la presenza constatabile della morte. Per questo molti “aficionados”, gli appassionati di tauromachia sono contrari all’indulto, o l’uomo o l’animale devono sempre morire.
Il balletto, macabro per gli oppositori della corrida, prepara, con le torsioni del corpo, la bestia affinché abbassi la testa e permetta al torero di affondare la sua spada con un colpo solo.Secondo gli aficionados della corrida, per gli animali è migliore destino vivere liberi per cinque anni nelle campagne, in magnifici allevamenti, e morire in pochi minuti nell’Arena, che languire in un allevamento intensivo per due anni, senza muoversi e senza natura, fino al macello.
“Il toro si mangia”, ripetono i tradizionalisti ai turisti dubbiosi, “la morte è vita per chi non è vegetariano o vegano”. Per diventare torero professionale bisogna toreare almeno 15 Novilladas, corride con tori più giovani e di peso inferiore: ci rivela il giovane novillero Tristan Espigue, 20 anni, “Il pubblico mi fa più paura del toro, il mio intento è riuscire a compiacere chi mi guarda”. Un novillero come Espigue pesa circa settanta chili, e verrà caricato da un toro che pesa cinque quintali: “È importantissima la preparazione fisica, durante tutto l’inverno. È bene prepararsi anche senza tori, ma solo con gli accessori della corrida, come la Muleta rossa e la Capa, mantello pesante di quasi 10 chili, per poi avere la mobilità del corpo giusta” spiega Espigue con voce ferma. La luce di Arles entra nella grande arena romana e illumina lo spettacolo più antico.