I supereroi sono felici? È la semplicissima domanda che fa da sfondo alla vicenda raccontata in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Una domanda che mette al centro l’umanità dei personaggi e le loro fragilità, anche quando sono dotati di poteri straordinari, tratto tipico della regia di Sam Raimi, tornato a dirigere un film di supereroi 14 anni dopo Spiderman 3.
L’aspetto emozionale è infatti il più riuscito dell’ultima pellicola del Marvel Cinematic Universe. Ma al di là di questo siamo di fronte a un buon film? Bisogna premettere che è difficile dare un giudizio sul singolo prodotto, perché l’ambiziosissimo progetto dei Marvel Studios si configura da tempo come un intricato puzzle di storie interconnesse. Tutti i film soffrono dunque di un limite intrinseco, dato che è quasi impossibile capirne appieno uno senza aver visto i restanti. Doctor Strange nel Multiverso della follia non fa eccezione, intrecciando la vicenda dello stregone supremo (Benedict Cumberbatch), apparso l’ultima volta in Spiderman No Way Home, con quella di Wanda Maximoff (Elzabeth Olsen), che si riaggancia alla fine della serie tv a lei dedicata, WandaVision. La trama ha come fulcro America Chavez (Xochitl Gomez), una ragazza dotata del potere di viaggiare attraverso il multiverso e che Dr Strange deve tenere al sicuro dal demone che vuole sottrarle la sua capacità.
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Si tratta di una pellicola divertente, che svolge egregiamente il suo ruolo di intrattenere il pubblico per le due ore della sua durata. Come tutti i blockbuster della Marvel, mischia humor e azione, con immagini che catturano l’occhio grazie ai magistrali effetti speciali che i 200 milioni di dollari di budget hanno permesso di sviluppare. Grande pregio del film la scelta di esplorare il tema del Multiverso e delle realtà parallele, cosa che permette di apprezzare le doti attoriali di Cumberbatch e Olsen in diverse vesti. Un deciso vantaggio sul resto della produzione Marvel è invece dato dal tocco di horror che Raimi, esperto del settore, riesce a portare sullo schermo in alcune scene che lasciano lo spettatore sempre sul chi va là – ovviamente nei limiti concessi da un film che comunque non presenta limitazioni di età per essere visto.
A fare da contraltare a questo troviamo però una trattazione del tema supereroistico rimasta legata a uno stile da primi anni duemila, specialmente nelle presentazioni dei personaggi che risultano fin troppo artificiose. L’altro limite sta nel fatto che la trama si serve di diversi clichè e topoi letterari che danno al film un’aria di già visto: in particolare la presenza di un personaggio bambino estremamente potente e non in grado di controllare i propri poteri, salvo quando la trama lo richiede, e l’immagine della madre mancata che si trasforma in una strega.
Una considerazione a parte merita quello che tra gli appassionati di questo genere di film viene definito “fan service”, ovvero l’inserimento di elementi che non sono fondamentali per lo sviluppo del film, ma hanno l’unico scopo di far saltare sulla sedia i fan. La conseguenza è che mentre gli estimatori della Marvel resteranno entusiasti della comparsa di alcuni personaggi, lo spettatore generalista rimarrà indifferente, se non addirittura confuso. Nonostante questi evidenti limiti e una soluzione finale semplicistica, il film risulta però efficace perché riesce a sviluppare la vicenda umana del protagonista. Il dottor Strange è uno degli eroi più potenti al mondo, ma al picco della sua fama si trova a fare i conti con i limiti e le debolezze di Stephen, la sua identità civile. Sono la sua arroganza e la sua noncuranza a impedirgli di essere felice, un tratto che si ritrova in tutti gli universi che visita nel corso del film e che riuscirà a superare soltanto accettando che, nonostante il suo immenso potere, non può controllare tutto ciò che gli accade intorno. Pur non arrivando al livello dei migliori capitoli della saga, Doctor Strange nel Multiverso della Follia supera nettamente le ultime uscite del MCU.