Calatabiano, Sicilia ore 9 e 45. È la domenica dopo Ferragosto, bollini rossi ovunque per il traffico
automobilistico, proviamo ad arrampicarci verso Nord Est, con i treni regionali, lenti ma almeno
meno cari delle Frecce. La stazione di Calatabiano, provincia di Catania, è deserta. La signora Lucia vive
nella casetta al lato dell’unico binario e stende un paio di pantaloni azzurri, il secchio del bucato
appoggiato sulla ghiaia, e guarda la ferrovia, di cui un po’ si sente guardiana “Il fischio del treno non
mi disturba più, ormai è un amico” dice all’unica passeggera in attesa.
Stretto di Messina, Sicilia ore 11 e 15. Dai miti dei Greci lo Stretto ha fama di esser pericoloso per i
naviganti, le correnti sono mutevoli e veloci, i venti di botto mutano in vortici aggressivi. Qui, fra
Scilla, la ninfa trasformata in un mostro dalla maga Circe, e Cariddi, mostro marino creato da Zeus
capace di ingoiare e rigettare l’acqua del mare causando gorghi fatali, si passa lo stretto epico e inizia
il viaggio. Il traghetto si dirige verso il continente, niente ponte, malgrado le promesse che partirono
da Romano Prodi e arrivano, via Silvio Berlusconi, alla campagna elettorale 2022.
A bordo, i viaggiatori ammirano l’incontro di due mari, Tirreno e Ionio, sotto la spinta calda dello scirocco.
Agli arrivi, una signora dal vestito lungo alle caviglie ricamato con dei fiori verdi e rosa, indica
gentile, la famosa bottega che prepara panini con L’Nduja di Spilinga, insaccato morbido, spalmabile e
piccante, esportato in valigia verso il Nord. Il bottegaio suggerisce l’abbinamento “stracciatella e
spianata calabra”, si pulisce le mani rosse sul grembiule bianco, incarta la michetta, batte lo scontrino,
sorride e “avanti il prossimo”. Bisogna fare in fretta, la prossima coincidenza è tra poco.
Il treno blu arriva alle 13 e 28. Carrozza gelida, l’aria condizionata costringe i passeggeri a frugare in
valigia per trovare qualche indumento caldo, affiorano scialli, maglioncini e giacchette, presagio
di autunno. Da Villa San Giovanni il treno conduce a Paola, in Calabria. La speranza è raggiungere
Roma entro la mezzanotte ma, il lungo treno del sud non è veloce e passano pigri letti di fiumi,
paesini all’ombra di una nuvola, una nuda collina ancora verdissima. Il paesaggio è un Manuale di
Storia, nei secoli son passati da queste strade fenici, greci, etruschi, romani, galli, longobardi,
bizantini, francesi, spagnoli, tedeschi, americani. Oltre l’azzurro del mare, passano mura di
fortificazione, castelli, torri merlate.
Da Paola il treno riparte alle 15 e 28. Un sedile accoglie una signora con un cappello bianco, legge il
classico “Viaggio in Italia” di Johann Wolfgang Von Goethe, confrontando l’itinerario del poeta
tedesco con il nostro lento pellegrinaggio. Il convoglio si allontana dalla stazione di
Sapri, con le sue spiagge di ciottoli, ormai ha attraversato il confine ed è in Campania. Salgono
quattro ragazzi sui vent’anni, barbette scolpite, occhio al finestrino e occhio ai social sul cellulare.
A Napoli sosta obbligatoria per i Regionali, l’ultimo è alle 20:25. La prima grande stazione, dopo
nove ore di viaggio nell’Italia di provincia, appare vuota e comoda. Niente caos, rincorsa al vagone,
gli ultimi con il fiato corto. Qualcuno scende e saluta, gli altri attendono pazienti la coincidenza per
Roma Termini. Dopo il via, ad ogni fermata, il treno si affolla: Aversa, Albanova, Formia, Latina.
Ormai non c’è più posto, ci si accalca in piedi. Lo scompartimento è silenzioso, tutti stanchi, tranne due
sbarbatelli che ascoltano musica, condividendo un paio di cuffie, “Questa è la giusta carica prima di
andare a ballare!”. Nella capitale tutti scendono e tutto si spegne, stazione aperta solo per i viaggiatori
notturni dei vagoni cuccetta.
Un viaggio durato un giorno intero, dieci ore e dodici minuti, solo per arrivare dalla Sicilia a Roma.
Adesso bisogna salire ancora. Giunta l’alba nella Città Eterna, i primi raggi di sole illuminano la
Stazione Termini. Sullo spiazzale si svegliano i senzatetto, cominciando la loro dura vita. La partenza
è alle 5:40, Trenitalia puntuale. Firenze, poi coincidenza per Bologna, ancora Nord. Ad Arezzo, patria
del classico Francesco Petrarca, si unisce al vagone una suora cattolica. Indossa l’”abitudine”, l’abito
sciolto, pieghettato al collo e drappeggiato fino alle caviglie, dal nome antico. È minuta, la tunica troppo lunga, e deve sorreggerla con la mano destra, per paura di sporcarsi. Viene dal convento, dove
andrà? Quante storie, quante vite in un treno popolare.
A Firenze il capotreno urla, fischia, siamo al capolinea. Sono le 9 e cinquantatré. La colazione a Caffe
Giubbe Rosse è deludente per gli incantati che sperano di vedere i fantasmi di Andrè Ginè, premio
Nobel per la letteratura nel 1947, a giocare a scacchi, i futuristi che fanno a botte, l’altro Nobel
Montale curvo sul taccuino. La stazione di Firenze, Santa Maria Novella, capolavoro di architettura
razionalista, sembra mettere in riga anche il viaggiatore più caciarone. Costruita nel 1935, sembra
assai più in forma della sua compagna a Milano Centrale, di soli 4 anni più vecchia ma meno lucente.
Si riparte, direzione Bologna. La Pianura Padana è avvizzita dalla siccità, fiumi e bacini aridi, si fatica
per non perdere i raccolti. Il treno si ferma nel capoluogo emiliano, dove il 2 agosto del 1980 una
bomba esplose qui nella stazione, uccidendo 85 persone, il più grave attentato terroristico nella storia
della Repubblica italiana. Le lapidi ricordano la tragedia, come al Sud la storia incombe ma i turisti
saltano di corsa sul treno che porterà, infine, a destinazione. Malgrado l’afa, la calca, le spinte un
signore veneto, alto e asciutto, giacca sfoderata di lino grigio, resta gentile, e, verso la carrozza
numero 5, tiene stretta la mano alla moglie, come un attore elegante.
Il treno ci accompagna fino a Venezia Mestre, di colpo di nuovo il mare, l’occhio catturato dalla
laguna dove sembra di nuotare. In Agosto i piccoli treni regionali attraversano l’Italia in venti ore. In
stazione non c’è il fidanzato ad aspettare la ragazza che arriva da Villa San Giovanni, non c’è la
famiglia che raggiunge i nonni al lido di Jesolo. Sono tutti soli questa sera, tutti si portano a casa un
pezzo di viaggio in comune. La ragazza con la sirena tatuata sul fianco, la studentessa con i capelli
corti e gli occhi scuri, Nina, il boston terrier con gli occhi fuori dalla testa, l’aria di casa salmastra più
mite dello scirocco sullo stretto. Quando i lampioni gialli illuminano il Campo del Ghetto di Venezia silenzioso,
sono le 23:00 e il viaggio si è concluso, l’Italia semplice e determinata, torna al proprio destino.