Ghost musician, ovvero musicista fantasma. Ci teneva a definirsi così Mario Castelnuovo Tedesco nel suo ruolo di compositore di musica da film: figura di spicco nell’Italia musicale del primo Novecento, Tedesco fu costretto a emigrare negli anni Quaranta in America dopo la proclamazione delle leggi razziali dal regime fascista. Messo sotto contratto da Hollywood, in poco più di un decennio compose e arrangiò musiche per più di 200 film della Golden Age americana, firmandone tuttavia meno di una decina.
A dispetto del repertorio musicale classico, la colonna sonora non nasceva con una connotazione autoriale ben precisa: scrivere musica da film significava collaborare in più persone, lavorando su melodie elaborate da altri e producendo una grande quantità di stock music – delle librerie – al servizio dei futuri film dell’industria hollywoodiana. In questo contesto, diceva a ragione Castelnuovo, lui non era altro che un autore fantasma.
Nel corso degli anni molte cose sono cambiate, ma la colonna sonora attraversa la storia portando con sé il fascino di oggetto suddito delle immagini e, per questo, assai malleabile: tagliuzzata e ricomposta nel montaggio, non degna di pubblicazione propria e se eseguita in concerto ricostruita in suite, la musica da film è stata a lungo considerata un qualcosa di inferiore – se non indegno – rispetto alla sua alternativa colta.
E se persino Ennio Morricone faceva fatica ad accettare il titolo di compositore per cinema – diceva di sentirsi un outsider rispetto alla sua cerchia di impegnati colleghi di musica contemporanea – è solo nell’ultimo decennio che si assiste a un progressivo mutamento di prospettiva, sia da parte del pubblico che dei musicisti: in tutta Europa si moltiplicano i concerti dedicati ai giganti della musica da film – su tutti Ennio Morricone e John Williams, il quale prese lezioni di composizione proprio dal nostro Castelnuovo Tedesco – e l’uso di registrare cover di famose melodie da parte di singoli virtuosi.
Un lungo preambolo, quello sopra, per arrivare al commento di quella che sembra un’operazione figlia di questo lungo percorso: si tratta dell’album Cinema di Alexandre Tharaud – pianista francese di fama internazionale – che raccoglie ben 50 brani di 19 diversi autori nella storia della musica da film. In questa accurata selezione, Tharaud si fa affiancare dal Maestro Antonio Pappano alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per poi abbandonarsi in una seconda parte alla dimensione solistica, collaborando saltuariamente in duo con virtuosi come il violinista Nemanja Raduloviç e il clarinettista Michel Portal.
Che l’orchestra di Santa Cecilia si renda co-protagonista di un tale lavoro sulle musiche da film è una novità assoluta – chissà cosa ne penserebbe Castelnuovo – e contribuisce alla definizione di un repertorio – o almeno di un’idea di questo – che restituisce dignità all’artigianalità del compositore di colonne sonore. Se ciò risulta meno evidente per quelli che sono ormai i grandi classici di John Williams ed Ennio Morricone, lo è di più per musicisti di fama nazionale come i francesi Philippe Sarde (autore del melanconico tema de “Les choses de la vie”) e Michel Legrand (“Les demoiselles de Rochefort”).
L’interpretazione di Pappano è intensa quanto le sue migliori pagine di sinfonie di Mahler, e rispettosa di tutte le possibili sfumature tipiche delle ampie melodie del cinema degli anni Sessanta. Allo stesso modo, Tharaud offre una lettura personale – mai eccedente – di temi famosi come quello di Nino Rota per Otto e ½ e di Justin Hurwitz per La La Land. Quella del pianista francese è un’operazione non facile o scontata: nel collezionare tutti questi brani Tharaud si è trovato di fronte anche all’assenza di un materiale di partenza. Non solo si è occupato personalmente di orchestrare e arrangiare – insieme a Dimitri Soudoplatoff –alcune musiche, ma ha anche dovuto chiedere un aiuto d’ascolto per altre – l’esperto Nicola Scardicchio ha trascritto ad orecchio la versione originale di Nino Rota del valzer de “Le notti di Cabiria” di Fellini.
Cinema è la dimostrazione della meravigliosa materia sonora che il cinema e i suoi compositori hanno lasciato e (non) tramandato – in maniera a volte anche effimera e distratta – ora caleidoscopio di possibilità e rivendicata nella sua autorialità dalle mani di un esperto improvvisatore e appassionato di cinema. Alexandre Tharaud, infatti, ha passato gli anni di studi ad accompagnare al pianoforte proiezioni di film muti: Tornavo a casa con la sensazione di essere stato l’accompagnatore di tanti fantasmi, ed è stata questa esperienza che mi ha permesso di capire meglio cos’è la musica da film, scrive il pianista nelle sue note di presentazione all’album.
I fantasmi delle parole di Castelnuovo e di Tharaud si incontrano a ottant’anni di distanza, legati forse dalla speranza che un giorno quella musica potesse diventare altro che riflesso di un’immagine.