«Non ci credevo: ero davanti alla TV ed è venuto fuori il titolo “Hanno arrestato Matteo Messina Denaro”. Non potevo immaginare di leggerlo dopo quasi trent’anni, ormai avevo perso le speranze. Ma mi sbagliavo perché dovevo credere di più nell’ostinazione e nella capacità dei Carabinieri. Questa ostinazione è stata premiata, accidenti!» Maurizio Costanzo commenta con gioia la notizia con cui l’Italia si è svegliata lunedì 16 gennaio: l’arresto del super boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza, nella Clinica La Maddalena di Palermo.
Una gioia che riguarda molto da vicino il padre del Maurizio Costanzo Show, sfuggito per caso da morte certa il 14 maggio del 1993, quando divenne il bersaglio dei nuclei mafiosi di Brancaccio e del trapanese (tra i quali militava un giovane Messina Denaro), incaricati di ucciderlo non solo per le sue posizione apertamente anti-mafiose, ma anche per la sua amicizia con il giudice Giovanni Falcone. «In realtà, non ho mai fatto inchieste sulla mafia, ma la ragione dell’attentato fu quando intervistammo Falcone e Borsellino. Fu una cosa eclatante» racconta Costanzo.
Dopo un primo sopralluogo avvenuto nel febbraio del 1992 a Roma, per trasportare armi e materiale esplosivo ed organizzare la logistica dell’attentato con la complicità del basista Antonio Scarano, Salvatore “Totò” Riina richiamò i suoi uomini in Sicilia e rimandò l’operazione all’anno successivo. «Pensi, il mio attentato fu deciso proprio da lui» dichiara Costanzo, mentre ripercorre gli eventi di quella mattina maledetta.
«[Quel giorno] accadde che io stavo uscendo con la macchina, insieme a mia moglie [Maria De Filippi] e all’autista. Quando girammo l’angolo, saltammo per aria. Ma successe in ritardo e ci salvammo perché percorremmo una strada che non era quella tradizionale, mentre la macchina non era, sempre per caso, quella programmata» ricorda il giornalista.
Il riferimento è all’esitazione con cui Salvatore Benigno schiacciò il pulsante che fece deflagrare l’ordigno posizionato sulla Fiat Uno in Via Fauro, perché si aspettava che i coniugi avrebbero viaggiato a bordo di un’Alfa 164, anziché su una Mercedes blu non blindata.
Nonostante Costanzo e La De Filippi ne uscirono illesi, le due guardie del corpo che li seguivano a bordo di una Lancia Thema, Fabio De Paolo e Aldo Re, rimasero ferite nell’esplosione. Ma ad essere gravemente danneggiati furono soprattutto i palazzi di Via Fauro e le macchine parcheggiate, mentre crollò il muro dell’Istituto comprensivo della vicina Via Boccioni.
Per fortuna, si trattò di un episodio isolato, anche perché «dopo l’attentato sono stato sempre scortato. Una volta stavo andando a rilasciare una testimonianza in un tribunale siciliano, ma verificarono tutti i ponti sui quali dovevo passare per andare lì» precisa Costanzo, aggiungendo che «[tempo dopo] i magistrati di Firenze rintracciarono una foto di Messina Denaro dentro al [Teatro] Parioli, per cui ci si può rendere conto della sua presenza per chissà quanti anni».
Il conduttore conclude che secondo lui in futuro non ci saranno più minacce di stampo mafioso come quelle che hanno sconvolto l’Italia di fine secolo, soprattutto perché «l’arresto di Riina prima e di Messina Denaro dopo hanno dimostrato che lo Stato sa fare la guerra alla criminalità organizzata».
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