«Le alternative a questa vita spesso non ci sono: i bambini sono obbligati a lavorare nelle miniere per una questione di sopravvivenza». Il commento del portavoce di Amnesty, Riccardo Noury, che cerca di spiegare l’importanza del coltan, del cobalto e di minerali preziosi che sono usati per la fabbricazione delle batterie al litio, adoperate per gli smartphone, laptop o veicoli elettrici.
Sono ormai conosciute anche le terribili condizioni in cui sono costrette a lavorare le persone e il largo impiego di manodopera minorile.
«La sfortuna è che, rispetto ad altri paesi, nella Repubblica Democratica del Congo molti minerali, primo tra tutti il coltan, si trovano per lo più in superficie e che circa l’80% di questo minerale si trova nel paese africano». Ha affermato l’antropologo e ricercatore Luca Jourdan. «Basta scavare 30-40 cm anche con attrezzatura semplice ed è molto facile da estrarre. Questo è il motivo per cui è tanto diffuso l’impiego di donne o bambini in queste aree».
L’estrazione avviene spesso a mani nude o con l’utilizzo di arnesi rudimentali. Questo, insieme al fatto che non viene utilizzato alcun equipaggiamento protettivo e lo stretto contatto con materiali dannosi per la salute, come l’inalazione di polveri pesanti, ha portato conseguenze di salute molto gravi soprattutto per i bambini.
La paga per una giornata di 14 ore di lavoro si aggira attorno a 1-2 dollari al giorno secondo le ricerche di Amnesty International condotta tra il 2016 e il 2020.
Tutto ciò è una conseguenza della seconda guerra del Congo, tra il 1998 e il 2003. Con il fallimento dell’industria mineraria statale, l’allora dittatore Joseph Kabila, incoraggiò la creazione di industrie artigianali, che vennero regolamentate per incoraggiare investimenti esteri. Le miniere legalizzate rimasero però poche, mentre si registrò una crescita esponenziale di quelle non regolamentate, nelle quali veniva impiegata manodopera in stato di sfruttamento e in condizioni lavorative disumane.
Secondo il diritto internazionale, gli stati hanno il dovere di proteggere dalle violazioni dei diritti umani tutti i membri di una filiera industriale che ha un ruolo sia di lavorazione che di semplice acquisto nei loro stati. È per questo motivo che da parte dei governi nazionali è richiesta l’adozione di leggi e il controllo del loro rispetto da parte delle imprese che devono conformarsi a tali regole e rendere pubblica la loro applicazione.
In Congo la grande disponibilità di minerali è motivo di conflitti, violenze e presenza di milizie armate. «Le miniere di coltan, di oro, e altri minerali sono la base materiale della guerra in questo paese. Infatti, qui competono molti gruppi armati, signori della guerra locale, ma anche lo stesso governo non è che si muova in modo tanti diverso. Così si spiega anche la proliferazione di gruppi armati, perché c’è una competizione continua per il controllo del territorio e delle risorse che circolano in questi territori, soprattutto in un contesto in cui le risorse sono facilmente accessibili», ha commentato Jourdan, cercando di analizzare le radici culturali di questa condizione di conflitto perpetuo.
Nel discorso delle miniere di minerali le milizie giocano dunque un ruolo fondamentale, in quanto si adoperano a conquistare i territori situati in prossimità delle miniere, facendo un largo uso di pratiche violente.
Le due cause principali di questa situazione sono da una parte l’assenza dello stato, dall’altra la povertà. Secondo le stime, sono più di 35 mila i bambini coinvolti nel processo di estrazione e commercio del Congo, i quali si vedono privati della propria infanzia per potersi garantire un’entrata economica e segnata da periodici maltrattamenti e mancanze di tutele.
“Lavoratori volontari”, così vengono chiamati donne e bambini ridotti in condizioni di sfruttamento lavorativo in cui si sono addentrati solo per sopravvivere. «Va bene idealmente voler boicottare e arrivare a far chiudere queste miniere per cercare di preservare i diritti umani, però non è che in questo modo le milizie molleranno il territorio, magari spremono ancora di più la popolazione diventando sempre più parassitari». Continua Luca Jourdan, «Nel bene e nel male i bambini non è che lavorano lì perché altrimenti andrebbero all’università, perché potrebbero avere delle alternative. Loro lavorano lì perché hanno bisogno di mangiare e sono disposti a farlo anche lavorando in condizioni orribili. Ma senza quello cosa fanno? O gli dai un’alternativa oppure non puoi pensare di chiuderle e basta».
«Ci sono poi una serie di passaggi all’interno della Repubblica Democratica del Congo e poi la filiera procede nei luoghi di raccolta di questi materiali che sono Cina e Corea del Sud e da lì proseguono verso la parte finale della filiera che sono le aziende che producono dalle componenti dei telefonini alle batterie delle auto elettriche», aggiunge Noury, che racconta anche i possibili vari utilizzi di questi materiali.
Il cobalto è un minerale utilizzato per le batterie delle auto elettriche. Il fabbisogno previsto per il 2020 è di 200 mila tonnellate. «I principali produttori di apparecchi elettronici e veicoli alimentati da batterie elettriche non stanno ancora facendo abbastanza per fermare le violazioni dei diritti umani presenti nella catena dei fornitori di cobalto» è la denuncia di Amnesty International. Complici di queste dinamiche sono varie multinazionali che, per garantirsi la fornitura continuativa di coltan, si sono impegnate nell’intrattenere rapporti poco legittimi con figure di vertice nelle istituzioni congolesi. Tra questi grandi marchi troviamo: Nintendo, Philips, Samsung, Microsoft, Panasonic, LG, Nokia. «Il vero problema di fondo è che i lavatori di queste miniere sono soggetti deboli, che provengono da famiglie deboli e si trovano in una condizione di assenza dello stato, di assenza di diritti. In contesti dominati dalla violenza delle milizie e dalla povertà devi fare con quello che hai».
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