«È tempo di cambiare. In positivo o in negativo, ma qualcosa deve cambiare». Ulas Yldiz ha 27 anni e nella sua vita l’unico governo che ha visto è quello di Recep Tayyip Erdogan. «Erdogan mi ha rubato l’adolescenza: ho perso molti amici durante le proteste e anche la mia salute mentale».
Domenica 14 maggio in Turchia i cittadini sono chiamati ad eleggere il Parlamento e il prossimo Presidente. Per molti questa data, che si inserisce nell’anno del centenario della nascita dello stato turco dalle rovine dell’impero ottomano, fungerà da spartiacque per la storia della Turchia. Da una parte un presidente che da più di vent’anni detiene il potere nel paese, assumendo una connotazione sempre più autoritaria, oppure la vittoria di un’opposizione molto variegata riunita per la prima volta sotto un unico candidato, Kemal Kilicdaroglu, in nome della libertà e della giustizia.
Oggi la Turchia si trova ad affrontare le conseguenze economiche ed umanitarie del terremoto del 6 febbraio, il più devastante della sua storia moderna che ha colpito dieci province al confine con la Siria e provocato più di 50 mila vittime e 3,3 milioni di sfollati. Le conseguenze economiche di questa tragedia che sono state stimate dal governo di Ankara, si aggirano attorno ai 15 milioni, corrispondenti al 9,8% del Pil nazionale.
«Ho perso 12 persone tra familiari e amici nel terremoto. Mio padre è di Adana, una delle città principali del sisma. È stato veramente molto brutto e difficile. Sono stato ad Hatay per un mese per aiutare le persone. È stato come vivere un’apocalisse, qualcosa che non avrei mai potuto immaginare, qualcosa che non potrò mai dimenticare».
«Erdogan e il suo partito hanno vinto le elezioni dopo il terremoto del 1999 in Turchia. Quindi questo è un segno ora: hanno perso il potere. Non hanno fatto nulla nelle zone colpite dal terremoto, che ho visto con i miei occhi. Hanno persino usato questa tragedia come metodo di propaganda. I media e la stampa parlano di 55.000 morti. Solo io ho tirato fuori 452 cadaveri dagli edifici. Tutt’oggi – ben tre mesi dopo- ci sono milioni di persone colpite dalle conseguenze e almeno 700.000 morti. Le persone sono ancora alla ricerca di cibo e acqua e vivono nelle tende della zona».
Le tragiche conseguenze del sisma hanno portato ad una disaffezione al Presidente in carica, a cui sono seguite proteste di piazza e online. Infatti, è stato proprio il mancato rispetto della normativa edilizia approvata nel paese in seguito al terremoto del 1999, che aveva interessato la capitale Istanbul provocando oltre 17 mila vittime, ad accrescere il bilancio della devastazione.
Le dure conseguenze del terremoto, sia da un punto di vista sociale che economico, si inseriscono in un contesto economico già fragile, come quello della Turchia. Sullo sfondo di questa tragedia si è sviluppata un’accesa campagna elettorale che sembra essersi configurata come un voto a favore o a sfavore del Presidente Erdogan.
Infatti, il partito dell’uscente presidente, Partito Giustizia e Sviluppo (Akp), si trova a sfidare Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito popolare repubblicano (Chp), presentato come candidato unico dei partiti d’opposizione. A inizio marzo le opposizioni si sono riunite, in quello che è stato chiamato “Il Tavolo dei Sei”, scegliendo un unico candidato che sfidasse il presidente uscente. Kilicdaroglu, politico molto apprezzato e popolare ma considerato poco carismatico, ha 74 anni e da 15 è il leader del Chp.
I comizi tenuti da entrambi hanno visto il coinvolgimento di centinaia di migliaia di persone che confermano la grande attenzione dei cittadini turchi in vista delle elezioni presidenziali, considerate fra le più importanti e combattute degli ultimi decenni. Durante i suoi discorsi di piazza Erdogan ha additato più volte Kilicdaroglucome il burattino dell’occidente, promettendo di distruggerlo con il voto di questa domenica. L’avversario, invece, salendo sul palco della piazza di Smirne con la moglie Selvi, ha fatto solo una promessa al milione di persone che lo ascoltava: «Queste sono elezioni in cui dovremo ricostruire la democrazia».
«Kemal Kilicdaroglu è l’unico che può essere un avversario valido per Erdogan, anche se non è il migliore o il più forte. La ragione è che le persone che in Turchia guardano a cose come la religione, il background etnico o le questioni economiche e Kilicdaroglu è il politico più neutrale rispetto a tutto questo. Ha sempre dimostrato grande tolleranza nei confronti del popolo curdo, ma è anche un nazionalista. Oppure dice di essere musulmano e di praticare, ma mostra rispetto per le altre religioni. Quindi è probabilmente l’unico che potrebbe ottenere voti da diversi gruppi della comunità».
«Sento che questa è la prima volta in cui Erdogan possa perdere. Durante le proteste di Gezi ho provato la stessa sensazione, ma era una situazione più in stile guerriglia, mentre questa volta me lo sento in maniera più razionale», ha commentato Ulas. «Erdogan deve perdere, ma non credo che se ne andrà in pace e in silenzio. Farà tutti i danni possibili mentre se ne va. Tutti i miei amici si stanno dicendo di andare in una casa estiva dopo le elezioni perché tutto il suo gruppo illegale sarà in strada e sarà sicuramente armato».
Questo timore è confermato dai fatti: nel 2019 l’Akp aveva perso le elezioni municipali in tre città turche, tra cui Instanbul, ed Erdogan, attraverso pressioni sulla Commissione elettorale suprema, ha annullato il voto. Così come sono conosciuti i numerosi golpe che si sono susseguiti negli ultimi decenni, dietro i quali, pensano in molti, vi sia proprio la mano dello stesso Presidente, con lo scopo di rafforzare il suo potere e presentarsi al popolo come vittima e allo stesso tempo ultimo baluardo e vero difensore della democrazia.
«Kilicdaroglu deve vincere. Non c’è altro modo», ha concluso Ulas. «Chiunque sia contro Erdogan deve vincere, e credo che succederà. Penso che sia la fine del suo tempo. Ma se succede qualcosa e l’Akp rimane al governo, molte persone che conosco scapperanno dalla Turchia e anche io lo farò. Dopo tutto quello che è successo se Erdogan dovesse vincere ancora non ha veramente più senso lavorare e lottare per questo Paese. Altri 4-5 anni con Erdogan significa un ulteriore peggioramento per la Turchia, vuole portare il regime islamico e io non sarò qui se questo accadrà. Ho combattuto tutta la mia vita contro questo regime e lui perderà».
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