«Romagna mia, Romagna in fiore», queste sono le parole che riecheggiano nelle vie di Sant’Agata sul Santerno ricoperte dal fango che arriva fino sopra la caviglia. Ai lati delle strade ci sono frigoriferi, forni, divani, scrivanie, libri, lettere. Pezzi di vita di quelle persone che ora non hanno più un posto da poter chiamare casa.
«Quando mi sono svegliato l’acqua era già arrivata alle scale. Ho pensato che rimanere al primo piano sarebbe stata la scelta più intelligente. Invece sono rimasto intrappolato: 40 ore senza poter bere, mangiare o andare in bagno. Infatti, al piano in cui mi trovavo sto ancora ristrutturando, c’è solo un letto per il momento. Non credevo davvero ci sarebbe voluto così tanto per riuscire ad uscire, non mi immaginavo davvero che l’acqua potesse arrivare così in alto». Andrea -nome di fantasia- racconta quello che è successo le prime ore di martedì 17 maggio, in piena notte, mentre indica il segno che l’acqua fangosa ha lasciato sulle mura di casa sua. Questo è tutto quello che l’alluvione dell’altra notte ha lasciato: una intera vita distrutta e un segno sulle pareti.
«Anni e anni di sacrifici, di doppi turni al lavoro, di soldi messi da parte. Abbiamo messo tutto quello che avevamo in questa casa, e ora è tutto andato in fumo, in un attimo». Francesca sta per compiere 27 anni e da un anno aveva preso casa a Sant’Agata con il suo ragazzo. La macchina che non aveva ancora finito di pagare è stata completamente sommersa dall’acqua, solo due giorni dopo sono riusciti a rivederne il tettuccio.
Le strade di Sant’Agata ormai sono state liberate dall’acqua, ma a restare è il fango, che ricopre tutto. I trattori passano in continuazione cercando di spostarlo ai lati, per permettere alle persone di camminare e raggiungere le case che ancora non sono state liberate.
Questa piccola cittadina nel comune di Lugo (Ravenna) è piena di ragazzi che sono arrivati da tutte le parti della provincia. «Noi romagnoli siamo così: quando c’è da rimettere a posto qualcosa ci tiriamo su le maniche e cominciamo a lavorare. Siamo persone molto solidali ed altruiste», racconta una ragazza poco prima di voltarsi e prendere sottobraccio la sua amica per continuare a cantare «Romagna Mia». Un badile in mano e i vestiti sporchi di fango. Questi ragazzi hanno le facce stanche ma il sorriso che cercano di trasmettere alle persone che sono venuti ad aiutare.
«Quando è iniziata l’alluvione mi sono subito reso volontario per aiutare chi aveva la casa sommersa dall’acqua» ha raccontato Domenico, all’interno di uno dei centri di accoglienza allestiti per gli sfollati di Ravenna, il PalaCosta. «Non ho dormito per due giorni, e quando sono tornato a casa mi sono accorto che non potevo entrare, l’acqua era arrivata fino a lì. Ora sono contemporaneamente sfollato e volontario».
Questo centro è stato creato all’interno di una palestra che ora è ricoperta di brandine, coperte, giochi per bambini. Qui chi è stato obbligato a lasciare la propria abitazione ha trovato rifugio e qualcosa da mangiare. Sono tantissimi i volontari che sono venuti ad aiutare anche in queste strutture: Scout, Croce Rossa, Protezione civile. Ci sono anche dei Clown che cantano e fanno i palloncini per i bambini.
«Tutto quello che abbiamo raccolto in una vita stava nella nostra casa, e ora non c’è più» ha raccontato Carla, 77 anni. «Siamo scappati poco prima che l’acqua riempisse la casa, ma mio figlio è andata a vederla qualche giorno dopo ed era piena di acqua. Abbiamo perso tutto, mobili di valore sia economico che affettivo. Gli oggetti della nostra vita. Oramai siamo anziani e adesso ci ritroviamo senza più nulla».
«Non sono spaventato, sono affranto sì, ma vado avanti, perché questo è il mio carattere», racconta Andrea mentre ci offre un bicchiere di vino per brindare alla fine dell’ennesima giornata di lavoro nel fango. «Sono capitano di una nave e ho imparato che quando sei in mare le burrasche arrivano senza avvertire e allora tu le affronti così come sono sul momento. Non so cosa succederà dopo che avremo finito di ripulire le case dal fango, ma so che dopo la tempesta c’è sempre la terra ferma che ti aspetta, pronta ad accoglierti».
«Non sono preoccupata ora, perché ancora non mi rendo conto di quello che è successo». A parlare è Carla, che continua a camminare nel centro, regalando caramelle ai bambini che corrono su e giù per la palestra. «Poi adesso ci sono tanti volontari, tutti ti chiedono come stai e si preoccupano per te. Credo che la parte peggiore arriverà dopo, quando saremo lontani dalle telecamere e probabilmente ci si dimenticherà di noi. E allora chi ci aiuterà?»
Leggi anche: L’Emilia Romagna nel fango