Il colore nero dell’asfalto è nascosto sotto uno strato di grigio. L’acqua e il fango hanno lasciato il posto alla polvere, che si infila dappertutto. L’emergenza è finita e gli abitanti della Romagna si rimboccano le maniche, cercando di ricostruire la loro vita con quel poco che è rimasto.
Via Angelo Lapi, Faenza
In centro città si scorge facilmente il passaggio di questa tragedia: negozi con le vetrine rotte, completamente abbandonati, cartelli di ringraziamento per i volontari appesi fuori dalle case, resti di quel fango ormai asciutto.
«La notte del 16 maggio abbiamo iniziato a vedere l’acqua salire in casa. Eravamo io, mio marito e mio figlio. Siamo saliti al piano di sopra e poi, quando l’acqua è arrivata anche lì, ci siamo arrampicati in soffitta. L’acqua non smetteva di salire e lo faceva così velocemente. Siamo stati su dalle 10 di sera alle 4 del mattino, quando sono venuti a salvarci». Questo è il racconto di Sabina, faentina residente in via Lapi, una delle strade più colpite di tutta la città. Sabina, insieme alla sua famiglia si è salvata, durante quella che ha definito «la notte più spaventosa della mia vita». Ora, tolto tutto il fango però non sa come fare a ricominciare. «Noi eravamo in affitto in questa casa, ora siamo ospiti dai miei genitori che stanno in periferia, anche perché non riesco a trovare un altro posto in cui andare. Quella notte abbiamo perso tutto, non si è salvato davvero nulla. Ma alla fine la cosa importante è che tutti e tre siamo riusciti a uscirne vivi».
In questa strada ci sono ancora volontari, pompieri che con gli idranti spingono via la polvere, che ormai ricopre ogni cosa. Lungo la via ci sono case sventrate, porte ricoperte di fango appoggiate alle staccionate rimaste in piedi.
Poco lontano da via Lapi c’è un parchetto per bambini, ormai inagibile. I giochi sono capovolti e sommersi dal fango, i cassonetti ribaltati e diversi oggetti di casa trasportati lì dall’acqua che ormai sono immersi nel fango diventato solido.
Al lato di questo parco, una ragazza tira fuori pezzi di mobili da un’autofficina. «Questa è l’azienda di mio babbo e di mio fratello», racconta Giulia. «La situazione adesso è che dobbiamo smontare tutti i mobili che sono dentro e poi cercare un altro posto perché ora abbiamo paura a rimanere qui, con il fiume proprio a due passi. È più un volere nostro, ma comunque l’alluvione ha portato all’innalzamento delle piastrelle del pavimento e anche i muri ormai sono andati. Non ci è rimasto più nulla».
La città che per venti giorni è rimasta sotto l’acqua
La disperazione dei cittadini di Conselice si è trasformata in rabbia. Una città che è stata sommersa d’acqua per quasi tre settimane. Interruzione della corrente e dell’acqua potabile. La cittadinanza non riesce a capire come questo sia successo, forse qualcosa è andato storto nella gestione dell’emergenza? Di chi è la colpa? Sono queste le domande che per giorni sono risuonate nella mente degli abitanti di Conselice che hanno ormai perso tutto. Ma ora hanno trovato chi incolpare: la sindaca.
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Paola Pula è al suo secondo mandato come prima cittadina della città del ravennate, le manca solo un anno alla fine della sua carica. Nel suo viso si vede la stanchezza e l’agitazione che hanno riempito le sue giornate dal 16 maggio ad ora. «Raccontare una catastrofe come quella che è venuta a Conselice è davvero molto difficile», inizia la sindaca. «La nostra città si è diventa il bacino in cui sono confluite le acque fuoriuscite dalla rottura degli argini del fiume Santerno e quella che è arrivata dalla zona di Mordano». Paola Pula ripercorre le tappe della tragedia che è iniziata con la prima grande pioggia del 2 maggio e si è ripetuta in maniera molto più disastrosa 14 giorni dopo.
«Questa è una fase molto diversa da quella di emergenza. In paese c’è molto dolore perché naturalmente le persone hanno perso tutto, un terzo delle case della città sono state colpite dall’acqua che è rimasta per molto tempo, creando danni anche molto gravi».
«Ora che finalmente è stata tolta l’acqua c’è tutta la ripartenza che non è semplice: l’emergenza dal punto di vista della sua acutezza è finita ma adesso ci sono tutti i postumi di una ferita enorme. È necessario accompagnare le persone a ripristinare le proprie case, anche a seconda anche della loro possibilità economiche. La vera sfida di oggi è riuscire a rappresentare al meglio i bisogni dei nostri concittadini».
Poco fuori dal centro un edificio per la corsa dei go-kart ha ospitato un centro di accoglienza per sfollati e ora è diventato un punto di smistamento degli aiuti materiali alle persone che ne hanno bisogno.
«Tutti i beni che si vedono qui vengono dalle donazioni che abbiamo ricevuto nelle settimane passate da tutta Italia e che qui vengono smistate e categorizzate in modo uniforme in questa seconda fase dell’emergenza», racconta Francesco Alberoni, volontario originario di un paesino della zona, che gestisce l’organizzazione del centro.
«In questo momento vorremmo anche cercare di entrare un po’ in contatto con queste persone, vittime dell’alluvione, che sono rimaste isolate per tantissimo tempo, giusto per ridare loro un quarto d’ora o venti minuti di umanità».
Nel centro vengono preparati dei kit di base contenenti tutto il necessario per ricominciare a vivere una vita dignitosa, cercando di tenere conto delle particolarità di ciascun nucleo abitativo, come la presenza di neonati o di persone celiache. Le modalità di redistribuzione dei beni sono due: o il ritiro diretto presso il centro oppure la consegna casa per casa, per chi ha difficoltà a spostarsi.
A Sant’Agata si lotta ancora con il fango
«È la seconda volta che veniamo qui a Sant’Agata sul Santerno e anche l’altra volta sono stata ad aiutare nello stesso garage», racconta Sara, volontaria di 20 anni arrivata in pullman da Bologna insieme a un gruppo di amici e compagni di scuola. «La scorsa volta era tutto pieno di fango, infatti c’era lo spurgo che ci aiutava, ma arrivava fino alle ginocchia. Adesso la situazione è migliora un bel po’, però c’è ancora tanto lavoro da fare e ci sono molti meno volontari rispetto a due settimane fa».
«Quando siamo tornati qualche giorno dopo l’alluvione abbiamo visto squadre di aiuti provenienti da tutta Italia, eppure sembravano andare a tentoni, perché non c’era una vera organizzazione che coordinasse gli aiuti». A parlare è Dario Palermo che la notte del 16 maggio era fuori città con la sua compagna. Sentendo le notizie in televisione aveva immaginato cosa fosse successo a casa loro, ma mai si sarebbe aspettato di ritrovarla in questa situazione disastrata. «Credo purtroppo che questa sia solo la prima di tante tragedie che dovremo vivere, visto l’innalzamento delle temperature di questi anni. Bisogna davvero che si introduca un lavoro di ricostruzione e innovamento delle infrastrutture, degli argini dei fiumi, dei canali di scolo».
Ad oggi, mentre continua a togliere fango dalla casa, non sa esattamente cosa lo aspetterà in futuro. «Penso sia difficile poter tornare a vivere in questa casa, è tutto da buttare via».
Ai primi di giugno, quasi 20 giorni dopo l’alluvione, l’emergenza vera e propria è rientrata: l’acqua e il fango non riempiono più le strade e le case. Eppure, la vera sfida sembra essere appena iniziata: lontani dalle telecamere, senza più centinaia di volontari a disposizione e con la promessa di aiuti in arrivo, i cittadini della Romagna dovranno iniziare a ricostruire le loro vite.