Il cielo è terso sopra le saline di Cervia, poche nuvole si specchiano nelle acque ora calme delle vasche. Sullo sfondo gruppi di fenicotteri si stanno riappropriando dell’habitat distrutto dalla violenza del fiume Savio, esondato nel pomeriggio del 16 maggio a causa delle forti piogge che hanno colpito l’Emilia Romagna. Avvicinandosi si avverte un odore putrido e salmastro, il fondo è pieno di fango.
Il rumore di un’idrovora rompe il silenzio delle prime ore del pomeriggio, alcuni uomini stanno lavorando in un’antica salina di legno. «È tutto distrutto – dice uno dei vecchi salinari -. Le aziende qui intorno hanno perso tutto il sale del 2021 e del 2022. Non penso che ne produrranno altro per quest’anno perché tutti i macchinari sono sott’acqua. Noi lo faremo ma perché le macchine le hai qui davanti, sono le nostre braccia» dice indicando gli altri volontari che portano avanti la tradizione di raccolta del sale nell’Antica Salina Camillone, attiva solo a scopo turistico.
Dall’altra parte della strada un grande stabilimento è vuoto. In attesa c’è Giuseppe Pomicetti, presidente del Parco della Salina di Cervia. «Il sale ha paura di una sola cosa: l’acqua dolce» racconta mostrando dal telefono l’immagine del blocco di sale da 130 mila quintali consumato dall’esondazione del Savio. «L’acqua l’ha sciolto del tutto in pochi giorni, tutta la produzione è andata persa».
È trascorso un mese dal disastro che ha inghiottito sotto un metro e mezzo di acqua la salina. «Intorno alle 15 ci siamo accorti che l’acqua stava entrando – ricorsa Pomicetti -. È stato veramente strano: un fiume di acqua dolce che si mischiava con un fiume di acqua salata ed arrivava con una violenza pazzesca. Abbiamo cominciato a capire in quel momento che stava succedendo un disastro».
Senza stivali è impossibile entrare nello stabilimento che ospita i macchinari per la lavorazione del sale, le muffe hanno invaso i muri dell’ufficio dove venivano venduti i souvenir. «Le saline in questo momento sono circa 827 ettari di acqua pressoché dolce, tranne in questa area, salata perché ci sono tutti i nostri cristalli di sale disciolti».
I 27 dipendenti sono in cassa integrazione, in attesa di una ripartenza che, secondo Pomicetti, è difficile stimare quando e come avverrà. «Soltanto la macchina per raccogliere il sale è lunga 160 metri, non ha eguali in nessuna parte del mondo, non ne esistono di simili e non è che si possa rifare in un paio di mesi». La stima dei danni è incerta vista l’impossibilità di raggiungere le aree sommerse e ostruite dal fango. «Noi facciamo 2 milioni di euro l’anno e il periodo in cui fatturiamo più di tutti va da maggio a settembre. Di questi soldi, da adesso fino alla prossima raccolta e messa in vendita, a ottobre del 2024, non ce ne sarà traccia. Si stima un danno tra i 4 e i 5 milioni».
Il danno, ricorda Pomicetti, non è solo economico, «si tratta anche di un grandissimo danno ambientale. Siamo una zona di ripopolamento: in quel momento avocette, fenicotteri… Avevano tutti le uova, che adesso sono sotto l’acqua. I fenicotteri abbiamo visto che sono tornati ma abbiamo visto anche carpe nuotare all’interno della salina. La sera sentivamo le rane gracidare. Miliardi di zanzare, che in salina non ci dovrebbero essere. Vuol dire che l’acqua in questo momento non è salata».
L’obiettivo dei salinari è tornare a produrre il prezioso sale dolce di Cervia. Per quest’anno, il mercato non subirà gravi ripercussioni dal punto di vista quantitativo, visto che il sale prodotto nella provincia di Ravenna è riconosciuto come un prodotto che punta soprattutto sull’alta qualità. «Siamo una salina piccolissima, la più piccola che c’è in Italia, e la più a nord. Il nostro sale è molto famoso perché non è amaro. Facciamo un tipo di coltivazione unico: tre giri concentrici all’interno della salina e lì lasciamo tutti i cloruri amari.
Il mercato del sale andrà avanti ma lo farà senza una perla importante. Quello che mi sento di dire per la città, per i nostri ragazzi, per le mie due figlie che sono cervesi quindi sono nate nella città del sale, è che la salina non può morire, non deve morire».
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