Allarmante il report dello UNHCR, l’organizzazione delle Nazioni Unite per i diritti dei rifugiati, sul numero di profughi registrato lo scorso anno: 108,4 milioni, di cui 8 su 10 sono migranti del clima.
Nel 2022, il numero di persone sfollate con la forza da persecuzione, conflitto, violenza, violazioni dei diritti umani e gli eventi che turbano gravemente l’ordine pubblico sono cresciuti del 21%. Il totale a fine anno rappresenta un aumento di 19 milioni in più rispetto alla fine del 2021.
Le principali cause
Una delle cause da tener presente è sicuramente la guerra in Ucraina: alla fine del 2022, 11,6 milioni di ucraini sono rimasti sfollati, di cui 5,9 milioni all’interno del loro paese, e 5,7 milioni di persone fuggite nei paesi vicini e oltre.
Altri 32,6 milioni di spostamenti erano dovuti a disastri naturali, con 21 % nei paesi meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, paesi che hanno subito perdite economiche sproporzionatamente elevate in relazione alle dimensioni delle loro economie a seguito di disastri e cambiamenti climatici. Secondo l’International Displacement and food security (IDMC), sono 8.7 milioni gli sfollati interni a seguito di disastri climatici in 88 paesi e territori al 31 dicembre 2022. Il 45% in più rispetto al 2021.
I cinque paesi che riportano maggiori internal displacements sono il Pakistan, le Filippine, la Cina, l’India e la Nigeria. 6 volte su 10 gli sfollati per disastri sono dovuti a inondazioni e tempeste. Il 98% degli spostamenti in caso di calamità sono stati innescati da pericoli legati alle condizioni meteorologiche come le inondazioni, tempeste e siccità.
«Questi numeri sui migranti del clima sono così alti perché non c’è una definizione e quindi si guarda a tutti gli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico e si mette tutto in un unico calderone» commenta Angelica de Vito, consulente climatico presso le Nazioni Unite di New York.
«Molte delle guerre in corso sono per la mancanza di cibo e acqua. In tanti territori africani, le guerre civili ci sono per il possedimento dei pozzi, perché la crisi climatica sta portando a forti siccità».
«Se si riuscisse ad avere una definizione sarebbero più bassi perché avresti categorie più lineari». Allora cosa sappiamo già sui migranti del clima?
Chi sono i migranti del clima?
Quando si parla di migrazione climatica il problema principale è la mancanza di una definizione. Nel diritto internazionale non è presente un focus su questo tipo di categoria. «Ci sono due filoni in merito: il primo guarda ad un’interpretazione estensiva della Carta di Ginevra che dà all’articolo 1 la definizione di rifugiato e fa entrare nei motivi di persecuzione la carestia e la mancanza di acqua, quindi quei motivi che vanno a ledere la vita quotidiana di una persona».
«Il secondo filone va a guardare ad una protezione di tipo umanitario. Ci si lega alla Carta internazionale dei diritti dell’uomo, alla Carta di Nizza, seguendo l’idea di dare accoglienza a queste persone affinché non vedano lesi i loro diritti fondamentali».
«Le zone del mondo più colpite sono sicuramente localizzate nel Sud-est asiatico dove ci sono fenomeni come alluvioni e maremoti, che stanno diventando sempre più frequenti. La seconda zona è quella caraibica, dove vediamo un’esasperazione dei trend climatici e metereologici».
Attualmente si stimano 24 milioni di rifugiati climatici entro il 2030, «purtroppo alla luce di quanto successo negli ultimi 6 mesi questo dato è destinato ad aumentare non a diminuire, addirittura entro il 2026. Gli scenari non sono dei più rosei».
L’Italia e i migranti del clima
«Per la prima volta anche l’Istat ha preso in considerazione nei suoi report i migranti del clima. Questo fa capire che il tema è sempre più attuale».
Dopo i disastri in Emilia Romagna e quelli in Catania e Casamicciola, l’Italia sta vivendo sulla sua pelle gli effetti del cambiamento climatico.
«Il problema è che quando qualcosa non ti tocca, non te ne preoccupi. Ora in Emilia stanno vivendo i reali problemi della crisi climatica, ma nessuno parla delle vere conseguenze dell’alluvione. Di solito dopo gli alluvioni si verifica il fenomeno delle “acque nere” e spesso nascono nuove malattie. Le migrazioni climatiche sono prima interne e poi esterne: ci sarà forte displacement in Emilia. Siamo nella prima fase critica dell’emigrazione».
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