«Era una persona eclettica, estremamente interessante e con una grande apertura mentale»: Daniele Ciccolini, violinista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia descrive così Leonard Bernstein, il famoso compositore, pianista e direttore d’orchestra statunitense a cui Bradley Cooper ha dedicato il film “Maestro”, dal 20 dicembre su Netflix.
«L’ho incontrato per la prima volta nel 1987» racconta Ciccolini «e facemmo una Bohème memorabile, con un cast pazzesco. Fu un’esperienza molto intensa, una di quelle che non si dimenticano. Poi registrammo un disco tutto dedicato a Debussy e facemmo una tournee in Germania». Così il violinista ripercorre i momenti più belli della fruttuosa collaborazione fra Bernstein e l’Orchestra dell’Accademia, che si protrasse per tutti gli anni Ottanta.
«Alle prove arrivava spesso in ritardo, con un asciugamano intorno al collo e seguito da un codazzo di assistenti» continua Ciccolini, descrivendo la routine quotidiana del maestro. «Gli piaceva scherzare con tutti ma quando saliva sul podio si creava subito un’atmosfera che favoriva la concentrazione e rendeva piacevole lavorare insieme». La voce, poi, gli si riempie di ammirazione quando parla dello stile e della tecnica della sua conduzione: «Era un vero fuoriclasse! La sua gestualità era così espressiva da permettergli di dirigere con piccoli cenni. Gli bastava muovere leggermente le spalle, il polso o incrociare il nostro sguardo per comunicare le sue idee musicali. Anche per questo motivo essere diretti da lui si trasformava sempre in un’esperienza travolgente».
Bernstein aveva molti altri talenti. Era un eccellente pianista – celebri sono le interpretazioni dei concerti per pianoforte di Beethoven, Ravel e della Rapsodia in Blu di Gershwin in cui dirigeva e suonava allo stesso tempo – e un noto compositore di musica classica e jazz, generi che amava fondere tra loro. A questo proposito Ciccolini ricorda che l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia ha eseguito spesso la suite tratta dal musical West Side Story, la sua opera più nota. E aggiunge: «Per noi strumentisti classici è stimolante suonare questo jazz sinfonico che va oltre i canoni a cui siamo abituati. Per interpretarlo al meglio dobbiamo andare a scavare nelle nostre conoscenze ritmiche. È una prova di abilità e musicalità che ci arricchisce. Ad esempio, nella suite di West Side Story, ad un certo punto, noi dell’orchestra dobbiamo gridare “Mambo” e suonare per l’appunto un mambo. Fare queste cose ci ha sempre divertito molto».
Nel mondo della musica classica, però, c’era e c’è ancora oggi chi la considera superiore a tutti gli altri generi, e dunque intoccabile. Alcuni, soprattutto in Europa, pensavano che Bernstein non fosse adatto a dirigere le grandi opere. Sulla questione, però, Ciccolini è categorico: «Non sono assolutamente d’accordo. Basta sentire le registrazioni delle sinfonie. Mahler diretto da lui non ha eguali secondo me». Racconta poi che Bernstein non aveva mai avuto quell’atteggiamento presuntuoso e arrogante che accomunava molti suoi colleghi. Come gli sentì dire una volta, esistevano soltanto due tipi di musica per lui: quella bella e quella brutta.
A chi gli chiede un aneddoto che possa restituire lo spirito di questo artista, Daniele Ciccolini racconta sempre di quella volta che suonarono la Valse di Ravel durante uno stage per direttori d’orchestra. Il posto accanto a lui era vuoto perché il suo compagno di leggio era assente. Allora il Maestro, dopo aver dato indicazioni all’allievo, si sedette accanto e gli girò le pagine dello spartito durante tutta l’esecuzione. Ciccolini ricorda che emanava un tale senso di gioia, amore e rispetto per il prossimo che non gli fu difficile rimanere concentrato. Anzi, visse quell’esperienza con un’intensità ed un trasporto maggiori. Solo dopo si rese conto di quanto era stata unica e meravigliosa. E, ancora oggi, quando ne parla, molti fanno fatica a credergli.