Ѐ una tiepida mattina invernale. Sullo Stretto splende ancora il sole, ma nubi cariche di pioggia si avvicinano minacciose dallo Jonio, sospinte dal grecale. In spiaggia, davanti al chioschetto di una friggitoria, solo un paio di pescatori e una famiglia col cane. Poco distanti, cinque ragazzini ascoltano musica neomelodica sugli scogli, mentre sul lungomare un uomo sulla quarantina abbozza dei tricks un po’ impacciati sullo skateboard. Volgendo lo sguardo verso monte, una pizzeria, un hotel dismesso e una fila di villette. Le tapparelle sono quasi tutte alzate.
Stiamo osservando il futuro pilastro messinese del Ponte.
Le promesse del Governo sono chiare: prima pietra già dall’estate. Eppure, dove ci aspetteremmo scavatrici già in azione o, perlomeno, un’area di cantiere ben definita, decine di famiglie continuano a vivere una precaria quotidianità, in attesa di una lettera d’esproprio ufficiale.
<<Viviamo con una spada di Damocle costante sulle nostre teste>>. A parlare è una delle residenti della località Margi, al confine tra Ganzirri e Torre Faro: per lei e per tutto il vicinato la minaccia degli espropri inizia già dai primi anni duemila e si trasforma in un incubo nel 2011 con l’approvazione del progetto definitivo e la stesura di un primo piano particellare delle espropriazioni da parte della Stretto di Messina S.p.A..
L’elenco, aggiornato nel 2012, prevede la demolizione di centinaia di unità abitative e attività commerciali in un’area compresa tra Contesse e Villafranca Tirrena: la zona di Margi, compresa tra i laghi salati Pantano grande e Pantano piccolo, è destinata a sparire, per far posto al pilastro e al circostante Parco della Torre. <<Con la liquidazione della società abbiamo tirato un sospiro di sollievo: ci sentivamo al sicuro. Adesso è tornata la paura di dover abbandonare tutto da un giorno all’altro>>, continua la nostra intervistata.
Il 15 febbraio è stato approvato il progetto definitivo: manca solo la valutazione di impatto ambientale e la firma del progetto esecutivo, prevista per luglio 2024.
L’incertezza, intanto, non riguarda solo le tempistiche degli espropri ma anche le aree interessate. Da mesi circolano sui social alcune mappe: la più autorevole quella pubblicata dall’ingegnere civile Giuseppe Palamara sulla testata locale Messina Oggi. Se per le proprietà al centro dell’area individuata l’espropriazione è percepita come un destino ineluttabile, la situazione si fa più confusa nelle zone perimetrali, dove anche pochi metri possono fare la differenza. La mappa, ad esempio, ingloba case e terreni che non risultano inseriti all’interno degli elenchi ufficiali, divulgati lo scorso dicembre da Lettera Emme con un software interattivo.
Altre proprietà, invece, figurano nella lista ma non nella mappa: è il caso del ristorante “Alberto e i suoi sapori”, conosciuto come Anselmo, il cui stesso proprietario ritiene di non essere coinvolto dall’espropriazione. Sulla Via Consolare Pompea non è chiaro il destino di una stazione di servizio e dei caseggiati adiacenti.
Ma come reagirebbe la popolazione dinanzi ad una lettera di esproprio? A risponderci è forse il più grande conoscitore della comunità di Ganzirri e Torre Faro: lo scrittore locale Andrea La Fauci. Pur avendo perso la vista alla fine degli anni ’90, La Fauci ha bussato alla porta di centinaia di artigiani e professionisti sulle rive dello Stretto: il frutto di decenni di studio e interviste ha dato vita a due approfonditi volumi sulla storia di Messina e le sue tradizioni. <<I cittadini che amano la loro terra si opporranno con tutte le forze alla costruzione del Ponte. Io stesso non venderei la mia casa neanche per un milione di euro>>, afferma. <<Anche i greci e i latini avevano compreso l’unicità dello Stretto e delle sue correnti impetuose. Nelle sue acque, da millenni si pratica la pesca del pesce spada con l’arpione, la più antica al mondo. Le tradizionali feluche, impiegate dal ‘400, sono ora candidate a diventare patrimonio dell’umanità. Tutto questo andrebbe tutelato, come anche l’attività di molluschicoltura dei due laghi salati – anticamente quattro. Ma se sono gli stessi politici messinesi a non valorizzare quello che abbiamo, come possiamo sperare che lo facciano a Roma?>>.
Della stessa opinione è il comandante navale Salvatore Arena, che insiste sulla biodiversità marina della zona e sull’unicità dell’ecosistema dei laghi, il cui ricambio d’acqua è garantito in modo circadiano dalle maree dello Stretto: <<Il peso del pilastro del Ponte metterebbe a repentaglio un equilibrio fragile>>. La tutela dell’ambiente e le preoccupazioni per l’alta sismicità sono i capisaldi del comitato No Ponte, che nell’area raccoglie numerosi proseliti. Quasi tutti i cittadini intervistati sostengono di essere pronti a scendere in piazza contro la realizzazione dell’opera quando sarà necessario.
Anche i più restii, tuttavia, potrebbero cambiare opinione dinanzi alle indennità per l’esproprio che, secondo le stime pubblicate dall’ingegnere Palamara, ammonterebbero fino a tre volte il valore di mercato.
La prospettiva di vendere per un valore di quasi 5.000 Euro al metro quadro sembra far gola anche a diversi proprietari di attività commerciali della zona. <<Non dovrei essere coinvolto dalle demolizioni, ma ci avrei quasi sperato. Con un’offerta adeguata avrei venduto anche domattina>>, ammette il ristoratore Anselmo, già menzionato. <<Al di là degli interessi personali, il Ponte rappresenta un’opportunità di slancio unica per Messina: mi aspetto un boom di turismo e occupazione>>. Anche la proprietaria del Residence Margi si dichiara aperta alle trattative: <<Accetterò l’offerta, se ragionevole. Sull’utilità del Ponte al momento preferisco non schierarmi. Mi dispiacerebbe solo vedere un’opera non conclusa a lavori già avviati: sarebbe un’occasione sprecata per la città>>.
Diversa è l’opinione di chi gestisce un’attività ma non ne è proprietario. L’esercente della pizzeria Gitano’s confessa: <<Temo di vedere in frantumi decenni di lavoro. Se dovessero espropriarci, cosa sarà di noi?>>.
Fra tutti, però, coloro che attendono con più angoscia il fatidico giorno dell’esproprio sono gli unici che da tutta questa vicenda non hanno nulla da guadagnarci: i dipendenti. I membri dello staff di Sapore Divino sono già sul piede di guerra: <<È pura follia: la Sicilia non ha bisogno di un ponte, ma di un rimodernamento delle infrastrutture già esistenti. Il ponte sarà la rovina di questa città a livello ambientale e paesaggistico>>. Tra loro anche qualche scettico: <<Dubito che l’opera verrà mai realizzata. È l’ennesima dimostrazione di forza della politica. Alla prossima crisi di governo il progetto del ponte cadrà nuovamente nel dimenticatoio e non ne sentiremo la mancanza>>.
Infine, una voce fuori dal coro. L’ultima cittadina intervistata ci lascia con un’interessante provocazione: <<Siamo nel 2024. Sono in fase di sperimentazione le prime macchine volanti. Ha ancora senso investire miliardi di euro su un ponte?>>
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