Mobili, materassi, materiali industriali di ogni genere, ma anche rifiuti speciali, sepolti o abbandonati qua e là. E’ questo ciò che resta dell’ex campo rom “Italia ’90”, su via del Foro Italico, crocevia tra Parioli, Vigna Clara e Monte Sacro a Roma. La prima baraccopoli della capitale, dopo trent’anni di occupazione, è stata sgomberata nell’estate del 2020 dall’amministrazione della sindaca Virginia Raggi con l’obiettivo di bonificare il terreno vicino al fiume. Da allora, però, quella che dovrebbe essere una riserva naturale, si è trasformata in discarica abusiva.
A sbarrare l’accesso alle auto, dallo spiazzo dove affaccia la concessionaria Ducati, c’è un armadio semi distrutto, lo scheletro di un frigorifero e un bagno chimico riverso. Varcata la soglia, tra cumuli di immondizia e calcinacci visibili già dalla tangenziale, ci si addentra tra i resti delle vecchie baracche, di cui ancora si conservano le maioliche e alcune strutture in muratura. Fino a via Foce dell’Aniene, sotto al ponte della Ferrovia Roma nord a ridosso del Tevere, ci sono distese di rifiuti. A nulla sono serviti gli interventi disposti da Regione e Campidoglio negli ultimi due anni, dopo un lungo rimpallo di responsabilità.
«Da sempre combattiamo contro questo fenomeno che interessa tutto il Foro Italico», spiega Sandra Bertucci di Fratelli d’Italia, dal 2016 consigliere del secondo municipio ora a guida PD. «Da quando è stato smantellato il campo sono state effettuate delle bonifiche», purtroppo «Tempo sei mesi massimo un anno e la situazione ritorna di nuovo al punto di partenza. E’ una piaga che colpisce tutta la capitale», qui, però, c’è di mezzo «Un giro illegale di smercio dei rifiuti che interessa soprattutto il materiale edile. Non è la semplice inciviltà del singolo cittadino». Almeno «Adesso, grazie alle fototrappole, la polizia locale è riuscita per la prima volta a identificare delle persone». Finora i denunciati sono otto, per loro multe da 20mila euro e i costi dello smaltimento. «Ad oggi questo è l’unico strumento che l’amministrazione ha per combattere l’illegalità», insiste Bertucci, perché «Non ci vuole molto a togliere i sigilli, scavalcare e rompere le recinzioni». Invece di «Continuare a parlare di bonifiche», rese difficili anche dalla scarsa presenza di fondi, «Bisogna evitare che il fatto avvenga». Sulla necessità di chiudere il campo, invece, non ha dubbi: «C’era un chiaro problema di salute pubblica e sicurezza per i quartieri limitrofi. I roghi tossici arrivavano fin dentro le case obbligando i cittadini a tenere le finestre chiuse», a volte era «Impossibile persino fare attività fisica all’aria aperta e frequentare i parchi pubblici nelle vicinanze».
Qualcosa, però, non ha funzionato «Visto lo stato in cui oggi è ridotta l’area, tutt’altro che riqualificata», sostiene Carlo Stasolla, portavoce dell’Associazione 21 luglio che tre anni fa era presente prima e durante l’arrivo delle ruspe. E’ stata un’operazione discutibile «Soprattutto perché gli ex occupanti non hanno fatto altro che spostarsi. Si è trattato di uno sgombero forzato, rivendicato dalla giunta Raggi e condotto in modo non rispettoso dei diritti umani e dell’infanzia». Una decisione presa «Per fini politici ed elettorali sulla pelle dei più fragili. Cosa si è ottenuto?», chiede in maniera provocatoria Stasolla, «Una dispersione delle famiglie sul territorio, inizialmente nel terzo municipio e poi in altre zone di Roma. Mentre la discarica a cielo aperto resta al suo posto».
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