Sono quindici anni che in Italia si assiste in contemporanea a un costante calo delle nascite e a un aumento progressivo del reddito medio annuale delle famiglie, siano esse composte da lavoratori dipendenti o autonomi. La crescita della busta paga però non è stata reale perché bisogna tener conto dell’inflazione che non produce ricchezza per le famiglie.
Dal 2008 al 2022, i bambini venuti al mondo sono diminuiti con una variazione percentuale del 2.3% medio annuo: si è passati dai 576.659 nati vivi ai 393.333, secondo i dati registrati dall’Istituto nazionale di statistica (Istat).
Il reddito è, invece, in teoria, aumentato del 22% per i salariati, dal 2003 al 2021, e del 29% per quanto riguarda quello degli autonomi: nel primo caso i redditi medi in Italia erano di 30.597€ e 35.196€ rispettivamente per i dipendenti e per gli autonomi, mentre dopo meno di diciotto anni si è passati a 37.414€ e 45.392€.
Il dato reale è un altro: l’inflazione non ha fatto aumentare i redditi, ma li ha fatti scendere: -8% il lavoro dipendente e -3% quello autonomo.
Un altro elemento da prendere in considerazione è il Tasso di fecondità totale (TFT), che indica il numero medio di figli per donna. Se il valore è prossimo al 2 vorrà dire che la progenie permetterà alla popolazione di mantenere la struttura demografica, se sarà inferiore si potrà osservare una tendenza a rimandare la genitorialità. Nell’arco di tempo che va dal 2008 al 2021, il TFT italiano è sceso da 1.44 a 1.25.
In valore assoluti, significa che il numero di bambini concepiti è inferiore di 183.326 unità, ma, trasformando il numero assoluto nella percentuale, si comprende meglio il problema della natalità: -31.8%. Il dato, però, è misurato su scala nazionale e non tiene conto della diversità geografica.
Dividendo la penisola in cinque macroaree- Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole- è possibile osservare come alla fine del XX secolo, i nati vivi nella parte Nord-ovest del Paese fossero 129.025 (con un TFT nel 2012 di 1.48 e nel 2021 di 1.26), mentre i nati vivi nel Nord-est erano 93.271 (con il tasso di fecondità sceso da 1.49 a 1.31). Ventitré anni dopo, si contano 102.717 parti a occidente e 77.569 nel Nord-est con una variazione percentuale negativa, rispettivamente, del 20% e del 17%. In numeri assoluti è come se fosse scomparsa la città sarda di Alghero perché ci sono stati 42.010 parti in meno nell’intero Nord del paese. La città di Milano è un caso significativo perché è nato il 32% (10.729) di bambini in meno: da 33.403 a 22.674 negli ultimi venticinque anni.
La diminuzione delle nascite dipende da vari fattori: dalla variazione della popolazione, dal numero di donne in età fertile, ma anche dalle condizioni economiche. Nel Nord Italia, infatti, si è potuto assistere a una decrescita del reddito del 4% nella parte occidentale per il lavoro dipendente e ad un -0.4% per quanto riguarda il lavoro autonomo. Infatti, si è passati da 32.501€ e 39.901€ a 31.079€ e 39.741€; mentre nelle regioni orientali il decremento è stato ancora più consistente per i lavoratori dipendenti (-8%) anche rispetto a quello dei lavoratori autonomi (-3%). La decrescita maggiore si può osservare nel Veneto: il reddito annuo delle famiglie con lavoro alle dipendenze si è ridotto dell’11%, mentre quello dei lavoratori autonomi è arrivato a essere più basso dell’8%. In valori assoluti, c’è stata una variazione, rispettivamente, di -3.626€ e di -2.902€.
Nel Centro Italia, la situazione è similare: si è registrato complessivamente un calo delle nascite pari al 26%: il TFT da 1.41 è divenuto 1.19. Questo significa che i nati vivi sono diminuiti di 25.167 unità dai 96.553 del 1999 ai 71.386 del 2022. In particolare, la regione Lazio e la città di Roma hanno sentito maggiormente il crollo della natalità, perdendo rispettivamente 14.596 e 11.314, vale a dire il 29% e il 30% del totale.
Un caso simile si registra nelle Marche e nel capoluogo Ancona: regione e città hanno visto calare i concepimenti del 28%. Analoghi sono i dati del reddito medio delle famiglie del Centro: il profitto da lavoro salariato è diminuito del 15% (-4.861€) rispetto ai 32.498€ del 2003, mentre quello autonomo è diminuito del 12% (-4.265€) sui 35.907€ dell’inizio dell’intervallo di tempo.
C’è una regione, il Lazio, che è sotto la media della macroarea per quanto riguarda il lavoro stipendiato: -16% (-5.228€) rispetto a diciotto anni prima passando dai 32.676€ ai 27.449€, mentre la Toscana presenta la variazione nella busta paga annua di un lavoratore con partita Iva una percentuale maggiore, in confronto alle altre regioni del Centro, con un decremento del 16% (-6.433€): da 40.802 € a 34.370€.
I dati riguardanti la natalità nel Mezzogiorno sono i più allarmanti: comprendendo Sud e Isole si è avuto, in media, un crollo del 35% pari a -76.732 parti nell’arco di ventitré anni: da 218.393 a 141.661. La stessa percentuale si riscontra nel Sud perché si è passati dai 149.914 parti a meno di centomila (97.148), significa che, nel meridione, ci sono 52.766 neonati in meno: il TFT era 1.34 nel 2012, invece dopo nove anni è diventato 1.23. Nelle Isole, la situazione è similare (il tasso di fecondità è sceso da 1.35 a 1.27). I casi di Bari e di Cagliari sono emblematici: le città capoluogo di regione hanno subito una contrazione di natalità, rispettivamente, del 50% (-8.538) e del 66% (-3.999), passando dai 17.104 e 6.050 bambini nel 1999 a 8.566 e 2.051 nel 2022.
Tutto questo è confermato da un decremento generale del reddito medio annuo pari a -8% (-2.014€) per il lavoro dipendente e a -9% (-2.393€) per quello autonomo passando da una retribuzione di 25.899€ e 27.330€ dell’inizio del nuovo millennio a 23.876€ e 24.938€ nel 2021.
Molise (-39% di nati), Puglia e Napoli (-38%), Basilicata (-43%), Potenza (-44%) indicano che il territorio meridionale, se tali continueranno a essere i dati, subirà uno spopolamento dovuto alla diminuzione di nascite, a cui si aggiungerà il continuo spopolamento dovuto alla migrazione interna verso il Nord del paese, con conseguenze che avranno ripercussioni a livello economico-sociale su tutto il Sud. È sempre più evidente che le famiglie fanno meno figli perché non c’è respiro: una piccola oscillazione del reddito provoca una contrazione delle nascite più forte. La diminuzione della natalità colpisce di più il Sud: l’atavica questione meridionale non solo è ancora lontana dalla soluzione, ma è destinata ad aggravarsi.