«Io non so nulla su questa storia del polonio. Quella di Cicchitto è stata una battuta. In realtà neanche si sapeva che potesse essere usato in quel modo finché non fu ucciso Litvinenko, spia dei servizi segreti russi poi dissidente contro Putin. È un veleno, ma fino a lui non era mai stato usato come agente tossico». A parlare è l’ex parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti tirato in ballo sulle colonne del Corriere della Sera. Chi fa il suo nome, durante un’intervista fatta dal giornalista Francesco Verderami, è l’ex senatore e compagno di partito Fabrizio Cicchitto. Tanti i temi toccati: dal rapporto Berlusconi-Putin e come questo era visto all’interno e all’esterno del partito passando proprio per Guzzanti e il suo ruolo quando era presidente della commissione parlamentare Mitrokhin.
Perché Cicchitto ha detto che la sua auto veniva tenuta lontana dalla residenza Berlusconi e che gli uomini della scorta si tenevano lontano dalla sua?
«Io non ne so nulla di questo. Piuttosto accade che a Teramo si svolse un processo a un gruppo di ucraini che trasportavano, dicono senza saperlo, su un furgone verso Napoli beni alla loro comunità ma dentro c’era una grossa Bibbia con scavata una granata di potenza simile a quella dell’attentato di Capaci. Litvinenko lo fece sapere a Scaramella, che era un consulente della Commissione Mitrokhin. Furono arrestati e processati a Teramo ma assolti quando quella commissione saltò».
Il senatore cita anche lei e Prodi quando parla della commissione Mitrokhin. Perché?
«Romano Prodi, presidente del Consiglio e poi candidato al Quirinale, è un signore che mentre Moro era prigioniero in via Gradoli, fece un gioco di piattino e di magia da cui fece uscire il nome Gradoli. Ci precipitammo in quel paese ma non c’era un bel niente, il luogo giusto era via Gradoli a Roma. Prodi non rispose mai su come avesse saputo dove stava Moro mentre era prigioniero. Resta tutt’ora una macchia».
Ma non fu interrogato?
«Prodi, interrogato prima dal magistrato e poi da me come Presidente della Commissione Mithrokin, si rifiutò di parlare. “Fu una seduta spiritica”, disse al magistrato. E quando l’interrogai io, siccome non credo ai fantasmi, ai piattini e a nulla di queste casualità, davanti la commissione intera, mi disse: “Ho già detto tutto il magistrato”. Io risposi: “Ma al magistrato lei non ha detto niente”. Lui tacque. Lo attaccai politicamente e minacciò querele».
E lei?
«Gli risposi dicendo: “Guarda sono alla finestra ma non le vedo arrivare”. E infatti non sono arrivate».
Quindi Prodi non era un obiettivo della commissione Mitrokhin?
«No, assolutamente. Noi scoprimmo che c’era un collegamento tra il rapimento Moro, le Brigate Rosse, il Kgb e la Stasi. Questa cosa fu dichiarata espressamente con la testimonianza del Procuratore generale di Budapest facendo una rogatoria con il ministero degli Interni, il ministero della Giustizia e tutta la Commissione.
Il procuratore generale di Budapest che ci ospitò in un grande salone, ci mostrò una valigia verde contenente tutti i rapporti tra alcuni brigatisti, non tutti. Quindi noi ne abbiamo avuto la prova provata ma poi questi documenti non ci arrivarono mai per una convenzione tra Paesi ex patto di Varsavia».
L’Italia non fece nulla?
«No, nessun giudice italiano andò a reclamare questi documenti che erano stati mostrati ma non consegnati al parlamento. Tutto è caduto nel vuoto. Posso solo pensare che il motivo sia perché la federazione russa, di cui Putin era già presidente, non abbia consentito all’invio di questi documenti».
Cicchitto dice che tra Berlusconi e Putin c’era omosessualità psicologica. Racconta anche di un episodio di quando i due andarono a caccia. Il rapporto era davvero così?
«Le dico solo un episodio. Cominciai a litigare con Berlusconi perché Putin ammazzava tutti i miei collaboratori segreti in Russia come il generale Trofimov con la moglie ed altri. Eravamo in un bar, seduti a un tavolino e lui mi disse: “Caro Paolo, Vladimir è un uomo dolcissimo e la sola idea che possa commettere cose come quelle che tu mi dici sarebbe come se qualcuno venisse a dirmi che tu Paolo Guzzanti uccidi e fai uccidere le persone. Non ci crederei perché Vladimir è un uomo dolcissimo”. Berlusconi sembrava straconvinto del fatto che Putin fosse un angioletto».
Quindi non è vero, come dice l’ex senatore, che gli unici che si opposero a tutto ciò furono lui e e l’ex parlamentare Daniele Capezzone.
«È una cazzata gigantesca! Quando Putin nel 2008 invase la Georgia facemmo una grande riunione nella sala del mappamondo con le commissioni interne ed estere di tutti i partiti. Fu allora che Berlusconi dichiarò la sua solidarietà al presidente russo dicendo a tutti i deputati e senatori uniti: “Il mio amico Vladimir mi ha promesso che entro pochi giorni inchioderà per le palle il presidente georgiano Saak’ashvili”. Io mi alzai e lasciai Forza Italia pubblicamente. Questo è stato… ero solo, non c’erano né Cicchitto, né Capezzone. Nessuno c’era».
Ne pagò le conseguenze?
«Io mi sono rovinato perché insorsi contro Berlusconi e questo mi è costato ovviamente il posto in parlamento, alcune collaborazioni, un ruolo che avevo nel giornale, ma non potevo assolutamente stare zitto».
Berlusconi fu anche invitato dal presidente Bush figlio per parlare al Congresso nel 2006, un raro onore per un leader straniero. Come faceva a mantenere questo rapporto sia con Usa che Russia?
«Quando parlai con l’ambasciatore americano Ronald Spogli mi disse che gli Stati Uniti erano preoccupatissimi per lo stato della politica estera italiana perché era praticamente caduta in un’orbita russa e che loro erano disperati dicendo anche che quanto accaduto a Pratica di Mare, quando Bush e Putin si strinsero la mano, fu una cosa molto bella e simbolica però la guerra fredda era strafinita».
Quindi questo rapporto ha creato dei problemi?
«Il rispetto degli Stati Uniti non è durato per sempre perché lui è stato molto legato a Bush. C’era molta cordialità. I rapporti erano speciali».
Dopo?
«No. Dopo i rapporti sono rimasti formalmente buoni, ma la magia del rapporto Italia-Stati Uniti fu sostituito da quello Italia-Russia. Tant’è vero che Berlusconi, anche quando lo andai a trovare lo scorso maggio, un mese prima della sua morte, era molto frustrato perché avrebbe trovato normale che fosse stato eletto lui Presidente della Repubblica. Sperava di poter far valere il suo speciale rapporto con Putin per mettere fine alla guerra. Si illudeva ma aveva questo sogno. Mi disse anche che Putin è un tipo imprevedibile. Mentre eravamo ad Arcore mi fece anche una battuta: “Guarda questo giardino, che dobbiamo fare: scavare un bunker atomico oppure conviene che andiamo in Australia?”».
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