«Ho pensato di star fermo un anno se non avessi trovato un’offerta che mi stimolava. Ci sono stati contatti con squadre importanti, ma per vari motivi non abbiamo trovato l’accordo. I dirigenti del Marsiglia, invece, sono stati chiari fin da subito. E poi è una piazza che mi ha sempre affascinato, da piccolo ammiravo campioni come Rudi Völler e Chris Waddle. Ha una tifoseria molto calorosa e appassionata, un po’ come me». Roberto De Zerbi riparte dall’Olympique, la seconda squadra più titolata di Francia e l’unica ad aver vinto una Champions League. Il 29 giugno ha messo la firma su un contratto triennale con Les Phocéens, poco più di un mese dopo aver annunciato la separazione dal Brighton. In due anni ha portato il club inglese alla prima storica qualificazione in Europa League, per poi uscire nella stagione successiva, agli ottavi, contro la Roma di Daniele De Rossi. «È stata una tappa storica. Oltre al sesto posto, abbiamo giocato una semifinale di FA Cup, persa solo ai rigori contro il Manchester United. Ho lanciato tanti giocatori che sono stati venduti a cifre record (come Caicedo, passato al Chelsea per 116 milioni, o Mac Allister, venduto al Liverpool per 42, ndr). È stato difficile lasciare».
Quella in Ligue 1 sarà la sfida più ambiziosa della carriera del tecnico bresciano: eccezion fatta per l’esperienza in Ucraina con lo Shaktar Donetsk, interrotta il 24 febbraio 2022 dall’invasione russa, De Zerbi ha sempre portato a ottimi risultati squadre di medio-bassa classifica o di serie B e C: Foggia, Palermo, Benevento, Sassuolo. Ora lo aspetta una società che nelle ultime quattro stagioni ha cambiato otto allenatori ed è reduce da un ottavo posto che la terrà fuori dalle coppe nel prossimo campionato. «I marsigliesi definiscono l’OM il club più importante del Paese» dice, ma bisogna riportare entusiasmo e sfidare il dominio del Paris Saint Germain, vincitore di dieci scudetti in dodici anni: «Ai giocatori dirò che dobbiamo rendere fieri i tifosi. Allenare il Marsiglia è unico, hai alle spalle un popolo. Con serietà e coraggio cercherò di riportarlo in Europa».
De Zerbi sulla crisi del calcio italiano: «Mancano i fuoriclasse di un tempo. Ma non c’è solo una ragione del crollo»
L’inizio dell’avventura in Francia è conciso con l’eliminazione dell’Italia dagli Europei di Germania. Il 2-0 contro la Svizzera agli ottavi è il simbolo di un movimento che non sa più formare giovani capaci di competere ad alti livelli. «Non c’è solo una ragione della crisi. Nascono meno fuoriclasse che in passato e mancano strutture, metodo, investimenti. Ci sono tanti stranieri, ma se giocano vuol dire che sono più bravi. A pagare il conto è l’apice del sistema, la Nazionale». Anche la Premier League è meta di calciatori da tutto il mondo, eppure l’Inghilterra «è zeppa di talento, in tutti i reparti. Hanno tre terzini destri tutti potenzialmente titolari: Walker, Alexander-Arnold e Trippier». Euro2024 ha messo in luce più i centrocampisti che gli attaccanti e squadre un tempo minori si sono sapute imporre attraverso il gioco: «Alcuni grandi centravanti sono usciti dal giro, come Benzema, altri stanno invecchiando: Cristiano Ronaldo ha quasi quarant’anni» osserva.
Dalla panchina del Darfo Boario in serie D ai pranzi con Pep Guardiola: «La gavetta è la mia forza»
Cresciuto nelle giovanili del Milan, De Zerbi non è riuscito a sfondare ad alti livelli. Solo tre presenze in Serie A col Napoli, il resto è un viavai in leghe minori, gli exploit con Foggia, Arezzo e Catania, due campionati rumeni nel Cluj e il ritiro al Trento, in serie D. Da lì parte la scalata da allenatore, iniziata sulla panchina del Darfo Boario, nel bresciano. Voltarsi indietro e ricordare il percorso che lo ha reso uno dei tecnici più corteggiati d’Europa lo spinge ad avere sempre più famedi successi: «Ci penso tutti i giorni. E quella è la mia vera forza. Io non ho fatto una grande carriera e non ho iniziato in uno staff. Non mi voleva nessuno, non avevo agganci. La gavetta è motivo d’orgoglio, benzina per raggiungere nuovi traguardi».
Oggi tutti vogliono assistere agli allenamenti che dirige, su Amazon si moltiplicano manuali di esercizi e schemi tratti dalle sedute tattiche. Si ispira un po’ al calcio offensivo di Marcelo Bielsa, anche lui passato dal Marsiglia, un po’ al possesso palla stellare (il cosiddetto tiki taka) di Pep Guardiola, la guida del Manchester City che lo ha incoronato come uno dei coach più influenti del nuovo millennio. Pochi giorni fa erano a pranzo insieme in un ristorante di Brescia: «Abbiamo parlato tantissimo di calcio e di giocatori – continua De Zerbi – È il più bravo di tutti, un punto di riferimento. Siamo amici, per un appassionato come me poterci chiacchierare in confidenza è un’apoteosi».
La gestione del talento e la cura dell’organizzazione in campo: «L’armonia del gioco non è tutto, ma il mezzo per arrivare al risultato»
Ex centrocampista mancino, abile nel dribbling e nella visione di gioco, dalla panchina ha saputo valorizzare la classe di giovani promesse e rispolverare quella di campioni ultra-trentenni: da Berardi a Kevin Prince Boateng al Sassuolo, da Alan Patrick e Marlos allo Shakhtar a Lallana e Welbeck al Brighton. «Il talento non conosce età –afferma convinto – Mi viene facile gestirlo, perché anche io ce l’avevo. Cerco di mettermi a disposizione dei ragazzi, do loro una disciplina che a volte non hanno e qualche regola per stare in gruppo».
Fa esprimere un gioco coraggioso, che esalta i tifosi e l’estro dei calciatori più tecnici: «In Italia si dice che chi vuole organizzazione mette il bavaglio ai giocatori. Non è così. L’armonia non è tutto, ma il mezzo per arrivare al risultato. Non voglio soldatini che eseguono ordini, perché non sono mai stato così, ma da soli non si fa niente. Bisogna parlare la lingua di altre dieci persone per esprimere le qualità dei singoli».
Può colpire che un comunicatore come De Zerbi non abbia neanche un social: «Non li avevo prima e non li vorrei neanche ora. Forse sarò obbligato a farmeli, perché stanno creando così tanti profili falsi da mettermi in difficoltà» ammette. «Non mi piace parlare sempre. Non ricordo neanche qual è l’ultima intervista che ho rilasciato. Io faccio l’allenatore, devo occuparmi del campo». Meglio concentrarsi sul nuovo inizio con il Marsiglia: oggi l’arrivo in città, fra due giorni al via la preparazione atletica al centro sportivo La Commanderie. «Ho scelto l’OM perché mi ricorda molto la passione e la pressione che ho vissuto a Foggia – conclude – Lo stadio del Vélodrome ospita quasi settantamila persone, è bello caldo. Questi ambienti mi spingono a dare il massimo». Bonne chance, Roberto.
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