La prima cosa che colpisce sono le ferite sulla mano sinistra. Due solchi rosso fuoco fra l’indice e il medio che fanno da contrasto ai capelli biondi e agli occhi color verde felce. «Ma non è sangue, solo mercurocromo», rassicura con il sorriso Caterina Banti, «mi è venuta una vescica e l’ho messo per disinfettare». I segni sulla pelle stanno lì a ricordare i tanti sacrifici per diventare la miglior velista italiana dell’anno e una fra le più forti al mondo. Romana, del quartiere Flaminio, classe 1987, vanta quattro ori mondiali, tre europei e uno magnifico alle Olimpiadi di Tokyo 2020, vinto in coppia con il timoniere Ruggero Tita. «Resto con i piedi per terra» ci dice, anche se preferisce di gran lunga sorvolare il mare a bordo del catamarano. Si chiama Nacra 17, un’imbarcazione sportiva progettata per le regate con equipaggio misto, in gara da Rio 2016. Caterina ci è salita rispondendo alla chiamata del vecchio allenatore: «Aveva il sogno dei Giochi e nel 2012 creò una squadra. Mi dissi: “Io ci provo”. Due anni dopo ero in Nazionale».
Caterina Banti e il rapporto con Ruggero Tita: «Ci completiamo e restiamo umili dopo le vittorie. Al massimo festeggiamo con una cena»
Cambia più compagni, poi arriva Tita e i due sbaragliano la concorrenza. «Il nostro punto di forza è che siamo molto dediti al lavoro. Non abbiamo mai festeggiato una vittoria, al massimo facciamo una cenetta, poi pensiamo già alla gara successiva». In coppia si completano: lui è la mente, lavora sulla sensibilità e sulla precisione; lei compie lo sforzo fisico. «Devo competere con prodieri maschi, faccio tanta palestra tutti i giorni per essere forte e resistente». Si sporge appesa alle funi a pochi centimetri dall’acqua, dirige l’imbarcazione spostandosi da un lato all’altro: «Sto spesso piegata sulle gambe, nella cosiddetta posizione a trapezio – spiega – È uno sport che ti logora, nel tempo accumuli acciacchi, la preparazione serve anche a prevenire gli infortuni».
Nell’ultimo triennio, aperto con il successo olimpico, il primo per l’Italia della vela da quello di Alessandra Sensini nel windsurf a Sydney 2000, Caterina e Ruggero hanno vinto quasi tutto. Solo tre gare sono andate meno bene: «Ma non direi che abbiamo fallito, semplicemente non siamo arrivati primi!» sottolinea. «L’obiettivo è ripetersi dopo Tokyo. Bisogna puntare alla prestazione, non solo al risultato».
Il primo corso di vela a tredici anni, la laurea in lingue orientali e il richiamo del mare: «In barca tutti i problemi spariscono»
Il racconto torna di frequente agli inizi. A quel corso di vela estivo sul lago di Bracciano. Appena tredicenne, Caterina praticava già equitazione e atletica. «Dentro di me c’era una grande carica competitiva che non riuscivo a sfogare – ricorda – Ho fatto tanti sport, ma quando presi il largo mi sentii libera: tutti i problemi e le preoccupazioni sparivano. Mi si svuotava la mente e mi lasciavo trasportare dal vento».
«Sono salita in barca per la prima volta a tredici anni. Quando presi il largo tutti i problemi sparirono: mi sentii libera»
Caterina Banti
Il liceo, un anno sabbatico in Tunisia e la laurea in lingue orientali la riportano a terra. Impara l’arabo e il francese, porta avanti più «lavoretti», ma il richiamo del mare ha la meglio: «Mio fratello Giacomo doveva cambiare prodiere e mi ritrovai in barca con lui. Studiavo a Napoli e tornavo a Roma ogni fine settimana per allenarmi». In poco tempo il destino si ribalta, di nuovo: lei inizia la carriera agonistica, Jack si butta sullo studio e oggi è professore di matematica e fisica.
La candidatura come portabandiera alle Olimpiadi e l’aneddoto con Tamberi: «Cate, ma ti rendi conto?»
I successi di Banti si moltiplicano, viene nominata Commendatore dell’Ordine al merito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, poi è eletta miglior velista a livello mondiale. Soddisfazioni che portano il suo nome fra i papabili portabandiera dell’Italia ai Giochi di Parigi: «Ero alla cerimonia dei Collari d’oro di dicembre» racconta Caterina. «Gianmarco Tamberi, seduto accanto a me, mi fa: “Cate, ma ti rendi conto che sei fra i candidati? Devono essere un uomo e una donna, entrambe vincitori di una medaglia”. Ma io sono in squadra con Ruggero: ho detto a Malagò (il presidente del Comitato olimpico italiano, ndr) che non sarebbe stato corretto scegliere solo me. È stato comunque un grande onore».
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La regata a cinque cerchi si terrà alla marina di Marsiglia. Si parte il 3 agosto, l’8 è fissata la Medal Race, a cui parteciperanno le prime dieci coppie in classifica. In totale sono dodici prove prima della finale, ognuna della durata di trenta minuti. «Se tutto va bene, stiamo in acqua tre ore al giorno. Se invece non ci sono le condizioni, a causa del vento o del brutto tempo, possono diventare il doppio».
Affrontare un’Olimpiade da campioni in carica cambia tutto. Aumenta la consapevolezza, ma si alzano anche le aspettative. La velista azzurra ha imparato a gestire la pressione: «Dopo Tokyo sono stata malissimo, ti fanno sentire una stella, in realtà sei una persona normale. Per vincere non devi tirartela. Chi si sente già arrivato, va poco lontano» conclude. «Non devi metterti in gioco solo come atleta, sull’acqua fai i conti con te stesso». I segni sulla pelle sono lì a ricordarlo.
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