Esclusiva

Agosto 29 2024
Koh Tao, l’isola della morte e il mandato di arresto per Suzanne Buchanan

L’isola paradisiaca del Golfo del Siam è stata il teatro di diversi delitti lo scorso decennio. La giornalista Suzanne Buchanan racconta a Zeta del mandato di arresto per averne parlato sul Samui Times

Una banchina di legno circondata da pescherecci dipinti e palme piegate sulla sabbia accoglie i turisti appena sbarcati dalle speed boat che collegano la terra ferma a Koh Tao, una piccola isola nel Golfo del Siam, nella Thailandia del sud. Il vociare dei locals che urlano i cognomi (per lo più occidentali) delle famiglie per il trasporto ai resort che costellano l’isola scompare non appena ci si addentra nella foresta, che arriva fino alle spiagge di corallo con mare cristallino. Questo paradiso di 21 chilometri quadrati è diventato una meta famosa in tutto il mondo per lo snorkeling e le immersioni grazie alla fauna marina che popola le sue acque. Pesci pappagallo dai mille colori, squali, tartarughe giganti sono solo alcuni degli incontri ravvicinati che si possono fare. Un vero scenario da film. Ma nello scorso decennio diversi eventi di cronaca nera hanno interessato Koh Tao, tanto da farle guadagnare l’inquietante fama di “isola della morte”. 

Dal 2014 ad oggi, sono quattordici i turisti che hanno perso la vita in circostanze sospette e mai chiarite. Tra i casi più scandalosi, lo stupro e omicidio di Hannah Witheridge e David Miller sulla spiaggia di Sairee. I due ventenni inglesi si trovavano sull’isola con le rispettive comitive di amici e stavano trascorrendo insieme la serata del 14 settembre 2014. Prima di andare via, si sarebbero allontanati per poi non fare mai più ritorno. La mattina dopo i corpi senza vita vennero ritrovati da una dipendente di Montriwar Toovichein, proprietario di diversi beach club della zona e del resort dove i ragazzi soggiornavano. Toovichein affermò di sapere chi fosse il colpevole: Sean McKenna, un amico di David, che sosteneva aver visto rientrare nel bungalow sporco di sangue. Il ragazzo scappò dall’isola e postò sul suo profilo Facebook cosa gli stava accadendo. Dichiarò che Montriwat Toovichein faceva parte della mafia thailandese, figlio di una famiglia potente che aveva molti affari sull’isola. Sean raccontò come i mafiosi cercarono di ucciderlo, minacciarono di impiccarlo e far passare l’accaduto come suicidio. Fuggì perché temeva volessero utilizzarlo come capro espiatorio. 

Per questi omicidi vennero processati e condannati a morte i due giovanissimi lavoratori migranti birmani Zaw Lin e Wai Phyo, senza la certezza che le tracce di DNA rilevate sui cadaveri di Hannah e David appartenessero a loro. Solo nell’agosto 2020 la pena fu commutata con l’ergastolo dal Re Maha Vajiralongkorn.

È lunga la lista delle altre vittime uccise: gli inglesi Ben Harrington e Nick Pearson, lo svizzero Hanspeter Suter, il francese Dimitri Povse, trovato impiccato con le mani legate. Ancora l’inglese ventitreenne Christina Annesley, assassinata nella sua camera di albergo. A febbraio 2015 scomparve Valentina Novozhyonova, ragazza di origini russe. Morirono Luke Miller, Bernd Grotsch, Alexabdr Bucspun e Elise Dallemagne, rinvenuta anche lei con una corda al collo nella foresta di Tanote Bay. L’ultimo caso risale a giugno 2021, con l’omicidio di Rakeshwar Sachathamakul e la moglie Anshoo, coppia milionaria proprietaria di hotel a Phuket e appartamenti a Bangkok. 

Tutti i delitti sembrano essere accomunati da interventi della polizia tardivi, senza l’adozione di nessuna precauzione dalla contaminazione delle scene del crimine. Spesso non sono stati ascoltati testimoni e si è proceduto subito ad archiviare i fatti come incidenti. 
La giornalista britannica Suzanne Buchanan ha seguito le misteriose vicende di Koh Tao e le ha ricostruite nel suo libro “The curse of the turtle – the true story of Thailand’s ‘backpacker murders’”. Buchanan ha vissuto per vent’anni in Thailandia ed era la proprietaria e direttrice del Samui Times, testata su cui pubblicava notizie sull’isola di Koh Samui. Un mandato di arresto è ancora valido nei suoi confronti per aver parlato di stupri e omicidi avvenuti nel paese, ed è per questo che ha lasciato la Thailandia per tutelare la sua sicurezza. «Mi trovavo in Regno Unito già da due anni quando ho letto la notizia del mandato di arresto emesso nei miei confronti. Non ero in Thailandia quando ho scritto l’articolo e il mio sito web non ha un dominio thailandese» racconta a Zeta. «Dissero che lo stupro di Hannah Witheridge di cui ho parlato non fosse mai accaduto, una fake news» continua Suzanne, che ha ricevuto minacce di morte per aver raccontato episodi considerati scomodi per l’immagine del paese. «Credo che ci sia un serial killer sull’isola e che la polizia abbia sempre coperto le prove». Il suo scopo era fare chiarezza sulla responsabilità dei due birmani condannati, capire come le potenti famiglie locali si muovono e operano corrompendo le forze di polizia. «Penso che se provi a dire la verità e questo li mette in cattiva luce, cercano di farti tacere. Io invece ho scritto un libro e fatto un documentario con Sky Crime. Non sono riusciti a zittirmi». 

Le dichiarazioni della giornalista fanno riflettere sul funzionamento del sistema di libera informazione nel paese del Sud-est asiatico. L’isola di Koh Tao è incontaminata, piena di strutture ricettive con personale sorridente e ospitale, ma un alone di mistero continua ad avvolgerla per i casi di cronaca che hanno fatto parlare i giornali di tutto il mondo. 

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