«Trascorrerò il resto della mia vita in prigione e morirò qui. Non ci sarà nessuno a cui dire addio…Tutti gli anniversari saranno celebrati senza di me». Queste parole, scritte da Alexei Navalny il 22 marzo 2022, sono state poi raccolte in Patriot, il suo libro di memorie pubblicato postumo nell’ottobre 2024.
Frasi che oggi riecheggiano nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, tra gli eurodeputati che vogliono ricordarlo a quasi un anno dalla sua morte, o meglio, assassinio. Il 16 febbraio dello scorso anno, infatti, l’oppositore russo più ostile a Putin moriva nella colonia penale a regime speciale di Kharp, in Russia, dopo essere sfuggito ad un primo tentativo di avvelenamento nel 2020. Detenuto dal gennaio 2021, avrebbe dovuto scontare 19 anni di carcere per il reato di “estremismo”.
La prima a parlare è la presidente del Parlamento Roberta Metsola: «Domenica sarà passato un anno dall’assassinio di Alexei, dopo torture e maltrattamenti. Lui era tante cose, vincitore del premio Sacharov, ma soprattutto un faro di speranza in Russia e nel mondo. I suoi nemici pensavano di farlo tacere, ma si sbagliavano».

Un anno fa Metsola aveva ricevuto la moglie del dissidente, Yulia Navalnaya, che aveva spronato i Paesi membri a essere “politicamente innovativi” per sconfiggere Putin: «Non si può danneggiare Putin con un’altra risoluzione o un’altra serie di sanzioni non diverse dalle precedenti. Non avete a che fare con un politico ma con un maledetto mafioso. La cosa più importante sono le persone vicine a Putin, i suoi amici, collaboratori e custodi del denaro della mafia. Voi, e tutti noi, dobbiamo combattere questa banda criminale».
Trecentosessantacinque giorni dopo nella stessa aula si discute sul come fermare la continua violenza del Cremlino. «Non possiamo e non dovete rinunciare a combattere il suo sistema repressivo, che assomiglia ad un mondo distopico orwelliano. Ora Putin agisce in maniera più discreta, eliminando i suoi avversari con avvelenamenti o spingendoli dalle finestre», dice Sandra Kalniete del Ppe.
Solo una settimana fa Vadim Stroykin, cantautore russo, è morto cadendo dalla finestra durante una perquisizione del suo appartamento a San Pietroburgo. La polizia stava perquisendo la sua casa perché l’uomo era sospettato di aver donato denaro all’esercito ucraino, azione che in Russia è considerata estremismo. Per questo l’ipotesi di suicidio di cui parlano i media filogovernativi è messa in discussione.
A menzionare questo episodio è anche Sergey Lagodinsky dei Verdi, che ci restituisce una delle testimonianze più sentite: «Ho incontrato Alexei il giorno prima che tornasse in Russia. Mi aveva detto di non avere paura. Cosa direbbe lui oggi se fosse qui? Parlerebbe delle altre persone che vengono uccise e torturate ogni giorno». Primi fra tutti gli stessi avvocati di Navalny, ora in carcere e iscritti nel registro nazionale degli “estremisti e terroristi”.
È stato menzionato anche il colloquio tra Donald Trump e Putin: «Cosa direbbe Navalny davanti ad un presidente degli Stati uniti che mercanteggia l’assistenza all’Ucraina mentre parla dell’amicizia con Putin glorificandone l’umanità?», ha chiesto con sdegno Bernard Guetta di Renew.
Ma c’è anche chi continua a sostenere che l’attivista sia deceduto per cause naturali, come Petar Volgin dell’Ens, una voce impopolare tra la platea: «I governi occidentali strumentalizzano la morte di Navalny. Non si hanno prove di nessun tipo sulla colpevolezza di Putin. Lui era già il favorito per le elezioni presidenziali, perché la leadership russa avrebbe dovuto uccidere qualcuno che non aveva importanza?».