Esclusiva

Aprile 1 2025
Immagina la Turchia, lettera da Istanbul

Dietro lo pseudonimo Alparsian Ulusoy si cela un noto giornalista e scrittore turco che narra per Zeta le sue reazioni ai recenti avvenimenti nel suo paese

Istanbul, Turchia

Ekrem İmamoğlu, il sindaco di Istanbul, è il nome forte che poteva sconfiggere Recep Tayyip Erdoğan, il Presidente della Repubblica turca al potere dal 2002. Amato sia dalla destra che dalla sinistra, avrebbe potuto portare una ventata di aria fresca. Ma Erdoğan non voleva un’ombra sul suo governo, quindi ha trovato una soluzione arrestando İmamoğlu.

Poliziotti armati si sono presentati alla porta di İmamoğlu con un ordine di detenzione e il sindaco ha descritto la scena in un articolo pubblicato dal New York Times: «La mossa – quattro giorni prima che il mio partito, il Partito Repubblicano del Popolo, tenesse le primarie per la prossima corsa presidenziale – è stata drammatica ma non inaspettata. Ha seguito mesi di continue molestie legali nei miei confronti, culminate con la revoca improvvisa dalla mia laurea, 31 anni dopo averla conseguita. Le autorità sembravano credere che questo mi avrebbe squalificato dalla corsa perché la Costituzione richiede che il presidente abbia una laurea. Così Erdoğan, dopo essersi reso conto di non potermi sconfigge alle urne, ha fatto ricorso ad altri mezzi, arrestando il suo principale avversario politico con accuse di corruzione, concussione, guida di una rete criminale e aiuto al Partito dei Lavoratori del Kurdistan considerato fuorilegge. Anche se le accuse mancano di prove credibili. Sono stato sospeso dal mio ufficio per le accuse finanziarie». 

Immagina un Paese dove nessun giovane ha mai visto un governo diverso da quello attuale guidato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP). Ma solo come la Turchia si stia dirigendo, anno dopo anno, verso il governo di un uomo solo. E come l’economia e l’istruzione si stiano indebolendo giorno dopo giorno. Nel 2002, 1 dollaro era pari a 1,30 lire turche, mentre queste righe vengono scritte, 1 dollaro è pari a 38 lire turche. Nel 2002, le università in Turchia, sia pubbliche sia private, erano 95. Oggi sono 209, aumentate perché ne vengono aperte di nuove in ogni angolo del Paese, per ottenere favori dalle amministrazioni locali.

Immagina un paese dove la libertà di espressione diminuisce ogni giorno. O in cui la Costituzione è stata cambiata per rafforzare il potere di Erdoğan. Un referendum nel 2017 ha cambiato il sistema parlamentare in un sistema presidenziale. In altre parole, l’ufficio del primo ministro è stato completamente abolito e il presidente è diventato la voce più potente della Turchia. Secondo il sistema parlamentare, Erdoğan poteva essere eletto presidente solo due volte al massimo, ma con il nuovo sistema, può candidarsi per un terzo mandato.

Dal 2004 al 2019, il partito AKP di Erdoğan ha vinto le elezioni del Comune Metropolitano di Istanbul. Mentre nel 2019, per la prima volta in 19 anni, il partito di opposizione CHP ha ottenuto più voti. Tuttavia, Erdoğan non ha voluto accettarlo, perché vincere a Istanbul significa simbolicamente vincere in tutta la Turchia. Ecco perché, su richiesta dell’AKP, le elezioni di Istanbul sono state annullate con la motivazione che «sono stati assegnati presidenti e membri delle commissioni elettorali che non erano funzionari pubblici». Si sono così tenute nuove elezioni: mentre İmamoğlu la prima volta aveva vinto con un margine di 13.729 voti sull’avversario dell’AKP Binali Yıldırım, la seconda volta ha superato il rivale di oltre 800.000 voti. Una grande differenza, rappresentazione della voce delle persone contro l’ingiustizia.

Nelle elezioni locali del 2024, l’AKP, che era stato il primo partito dal 2002, non è riuscito a diventare il primo partito del Paese per la prima volta in 22 anni. Il CHP ha ricevuto il maggior numero di voti, una dimostrazione del fatto che le persone chiedevano un nuovo governo.

Oggi la Turchia è concentrata sulle elezioni presidenziali del 2028. İmamoğlu era il probabile candidato del CHP, forte poiché piaceva sia alla destra che alla sinistra. Ma gli ostacoli con cui Erdoğan gli sta impedendo di partecipare alla corsa politica rappresentano un’ingiustizia che ha portato milioni di persone in piazza. Che adesso non riguarda più solo İmamoğlu. Rappresenta l’impegno del popolo turco per rompere il silenzio e contrastare la politica e la polarizzazione del governo negli ultimi 23 anni.

Se chiedi a un giovane in Italia che cosa pensa, si sentirà libero esprimersi con sincerità. Per chi abita in Turchia non vale lo stesso. Tanti hanno paura, non parlano. Sono preoccupati che se dicono qualcosa contro il governo subiranno delle ritorsioni. Per la prima volta dopo anni, però, oggi è diverso. Sono tanti i giovani che hanno trovato il coraggio di criticare Erdoğan, perché impedire a İmamoğlu di partecipare alle presidenziali è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le persone pensano che se non fanno sentire la loro voce dopo quello che è successo, saranno costrette a accettare tutto: chiedono democrazia invitando il governo attuale alle dimissioni.

A causa della violenza della polizia, però, le strade piene di manifestanti che pacificamente chiedono il rispetto dei loro diritti si sono trasformate in un inferno. Lo studente universitario colpito da un petardo, la donna spinta mentre cercava di tornare a casa, la donna che gridava «fa così male» alla polizia e centinaia di altri studenti universitari arrestati solo per aver partecipato alle proteste sono solo alcuni esempi. Tra loro c’era Berkay Gezgin, che ha coniato lo slogan di İmamoğlu: «Tutto andrà bene» visto quanto accaduto nel 2019.

«Non consegneremo questo paese ai terroristi di strada, ai mascalzoni». Così, come se non bastasse, Erdoğan ha commentato le proteste, con l’obiettivo di alzare la tensione: ha provocato il pubblico e ha peggiorato la polarizzazione esistente tra i gruppi più religiosi e più secolari del paese poiché i media pro-governo hanno fatto sembrare che le moschee e i cimiteri fossero stati vandalizzati dai manifestanti. Ma non è successo.

Immagina un Paese che viene descritto come «democratico» e «libero». Ma in cui, invece, le manifestazioni sono vietate. L’opposizione al governo anche. Il giornalismo è vietato, come dimostrano anche i numerosi reporter arrestati. Anche stranieri. Come è successo al giornalista svedese Joakim Medin, arrestato per aver insultato il presidente, o al reporter della BBC Mark Lowen, deportato dalla Turchia per «aver rappresentato una minaccia per l’ordine pubblico».

Ci sono solo quattro canali nel paese che danno voce all’opposizione e fanno vero giornalismo: Halk TV, Sözcü, Now, Tele 1. Sözcü TV ha ricevuto una sospensione delle trasmissioni di 10 giorni per «incitamento all’odio e all’ostilità tra il pubblico», la pena più grave prima della revoca della licenza nel paese. Halk TV e Tele 1 sono stati multati e i loro programmi sono stati sopsesi. NOW TV è stata multata per «aver superato il limite di critica» a causa della sua copertura dell’opposizione. Questo è il costo del vero giornalismo in questo paese?

Hai mai sentito parlare di un partito di opposizione in Italia che dice: «Non andare a Feltrinelli?». In Turchia, a seguito di questi eventi, il CHP ha invitato le persone a boicottare i negozi che supportano il governo. Tra questi, D&R, una delle librerie più famose del paese, ed Espressolab, un caffè. Questo boicottaggio è un ennesimo esempio della forte polarizzazione che segna il Paese. Così mentre le incertezze persistono, i giovani guardano al futuro con speranza per una Turchia più giusta, democratica e libera.

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