«Il nostro Capitano è Papa Francesco», recitava uno striscione alzato in piazza San Pietro dai fedeli anni fa durante una sua omelia. «Insieme per l’eternità, uno di noi»: così il club del San Lorenzo nella mattinata del 21 aprile, compleanno di Roma, dopo la notizia della morte del 266esimo Papa. La vita di Jorge Mario Bergoglio ha avuto una grande evoluzione, ma un denominatore comune solido: la passione per il calcio e il San Lorenzo, che da tifoso seguiva sin da giovane, poi da sacerdote, poi da arcivescovo, poi da Papa. La squadra di Buenos Aires gli assegnò la tessera numero 88235 il 13 Marzo 2013, proclamandolo “cuervo”, fedele tifoso del San Lorenzo.
La fede calcistica nasce a Buenos Aires, negli anni 40, quando da figlio di immigrati Jorge Bergoglio si dilettava a giocare a pallone nel quartiere di Boedo per strada con una “pelota de trapo”, una palla di stracci, nel ruolo di portiere perché era di gamba dura. Quel ruolo che porterà anche nella sua vita da pontefice, in cui ogni singola persona si è sentita vicina a quel papa, quel portiere che dal suo balcone, la porta, in questo caso la Chiesa e il popolo di Dio, dirigeva, incitando e motivando e proteggendo, durante la lunga partita durata dodici anni e 38 giorni, tutti i suoi fedeli, i suoi giocatori.
Il calcio, ma lo sport più in generale, era per Papa Francesco importante mezzo per la redenzione sociale, capace di diffondere la pace e di influenzare i cambiamenti sociali: «La Chiesa è vicina allo sport, crede nel gioco e nell’attività sportiva come luogo d’incontro, tra le persone ed i valori, per questo lo sport è di casa nella Chiesa. Lo sport fa crescere i valori di condivisione, fraternità, fa sentire parte di un progetto».
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Sua santità credeva nell’importanza dello sport come ruolo educativo e di tutela nei confronti dei bambini di tutto il mondo: «È importante che lo sport rimanga un gioco, solo così fa bene al corpo e allo spirito e proprio perché siete sportivi vi invito non solo a giocare, ma a fare qualcosa di più, mettervi in gioco, nella vita e nello sport , nella ricerca del bene, senza paura con coraggio ed entusiasmo, mettersi in gioco con gli altri e con Dio, non accontentarsi di un pareggio mediocre, spendendo la Vita per ciò che davvero vale e dura per sempre. Non accontentarsi con queste vite mediocremente pareggiabili, andare avanti cercando la vittoria “siempre”».
L’intero mondo sportivo si sente orfano del Santo Padre che in ogni occasione sportiva non mancava di sottolineare lo sport come fatica che riesce a guardare oltre le apparenze, senza tralasciare l’umiltà e la semplicità che hanno fatto di lui il Papa di tutti.
Il ciclismo era per Sua santità lo sport da vedere come metafora di vita capace tramite l’altruismo, lo spirito di squadra e il coraggio di insegnare la sopportazione della fatica , le lunghe salite, lo sforzo, per raggiungere il traguardo. Il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni ha ricordato «le lunghe salite e i gregari». Giovanni Malagò, presidente del Coni, ha detto: «Siamo tutti orfani di una guida spirituale. Papa Francesco ha illuminato le nostre coscienze dimostrando costantemente la sua vicinanza al nostro mondo , condividendone gli ideali e le finalità».
Gianni Infantino, presidente della FIFA, ne sottolinea la vicinanza ai bambini. «Il calcio è lo sport più bello del mondo» disse il Papa al vertice dei leader mondiali sui diritti dei bambini svoltosi in Vaticano.
Sua santità fu in grado di riportare a credere nella Chiesa anche chi se ne era allontano come il Pibe de oro, Maradona. Significativo ascoltare da Jose Mourinho, che ha fatto dell’ostentazione del suo ego il suo biglietto da visita, parole come «la sua umiltà base della vera grandezza» e «per essere grande, innanzitutto è necessario saper essere piccolo. L’umiltà è la base della vera grandezza».
È così che verrà ricordata sua eminenza Papa Francesco, come in una delle sue ultime uscite, contrariamente alle prescrizioni dei medici, in mezzo alla folla vestito di semplice casacca a righe come San Francesco d’Assisi. Grande perché umile, ornato di luce divina, come Pelè il suo preferito, perché semplice e senza orpelli.