Maschere bianche si muovono in corteo per il centro di Roma. Sotto ci sono i precari e le precarie dell’università partite da Piazza Capranica, dove lunedì 12 maggio si sono riunite in presidio, per poi raggiungere la sede della Conferenza dei Rettori (CRUI) nella vicina Piazza Rondanini. Un momento di riunione dopo lo sciopero di ricercatori e dottorandi che nella Capitale ha interessato i tre atenei pubblici.
«Innanzitutto ci battiamo contro il taglio complessivo da un miliardo e trecento milioni di euro al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) dell’università per il 2024 e per il triennio 2025-27», si lamenta Francesco Raparelli, 47 anni, docente a contratto e assegnista di ricerca in filosofia. Dopo aver fatto il dottorato, lavora con partita IVA o collaborando con varie istituzioni culturali. È tornato nel mondo accademico dieci anni fa, «ma se sei in un settore disciplinare che non è STEM (discipline scientifiche, ndr) le tue chance di entrare di ruolo sono bassissime».
Un primo disegno di legge, il 1240, che introduce altri cinque tipi di contratto precario, sembra essersi arenato, ma preoccupa un emendamento al decreto legge 45 sull’istruzione, ora in fase di conversione al Senato. «Deve essere assolutamente bloccato», continua Francesco, «perché precarizza ancora di più il preruolo», una condizione in cui rientrano circa 40 mila ricercatori e 30 mila dottorandi.

Alla mobilitazione organizzata dalle Assemblee Precarie Universitarie e che è arrivata in venticinque città italiane hanno partecipato anche vari sindacati, tra cui la FLC CGIL. «Non servono dichiarazioni nominali, ma mettere risorse nei fondi che vanno all’università», dice la sindacalista Laura Rossi. «La lotta contro il precariato e quella per il referendum dell’8 e 9 giugno sono la stessa cosa», aggiunge, «perché quando si dice che ci sono un milione di posti di lavoro in più, e questi lavori sono di una giornata è chiaro che c’è un problema».
Un’accusa forte della piazza alla ministra dell’università Anna Maria Bernini è anche quella di mentire sui tagli ai finanziamenti. «Dichiara un aumento di 336 milioni del Ffo, ma non è vero», aggiunge Raparelli. «Non solo l’anno scorso il governo aveva già fatto tagli al fondo, ma Mur e Ministero dell’economia non hanno finanziato gli scatti stipendiali, l’aumento del 4,8% previsto dall’ISTAT per il personale strutturato. Un aumento di 340 milioni che è ricaduto quasi interamente sugli atenei».

Affianco ad un cartello con scritto “Le nostre vite, la vostra propaganda”, si alternano in tanti al microfono. Ci sono anche insegnanti, studenti e lavoratrici della cultura e dello spettacolo, altri settori segnati da elevata precarietà. A disegnare i cartelli e stendere lo spago per gli striscioni sono le ragazze e i ragazzi delle Assemblee Precarie Universitarie di Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre. Ognuno di loro scrive la propria storia sulle maschere bianche. Nella mattina di lunedì 12 maggio la protesta ha toccato i campus. «Il corteo interno ha coinvolto tanti fra dottorandi e ricercatori e abbiamo chiesto che una delegazione venisse accolta dalla rettrice Antonella Polimeni. Ma siamo tornati a casa con un nulla di fatto», racconta Flaminia dell’assemblea della Sapienza. 29 anni, ha da poco finito il dottorato e adesso è disoccupata. Tiene d’occhio ogni giorno eventuali bandi per l’estero, perché «in Italia è tutto bloccato».
La lotta per la stabilizzazione, però, non finisce qui. «L’obiettivo è costruire un grande sciopero in autunno che coinvolga non solo l’università, ma anche la scuola e tutti i lavoratori e le lavoratrici precarie».