“Mastica e sputa” miele o cera, canterebbe De Andrè. Sangue e saliva, racconterebbe la storia di Benvenuti. Che sia la prima o la seconda opzione non ha importanza. Nino lo abbiamo visto volare tutti. Destro, sinistro, schivata, gancio come in uno dei match contro Griffith al Madison Square Garden. Una radio accesa e tutta Italia sveglia. E, soprattutto, più orgogliosa. Dopo decenni di migrazioni negli Stati Uniti e dita puntate contro perché visti come reietti, un pugno aveva reso un popolo più unito.
Nasce a Capo d’Istria nel ‘38. A sette anni i partigiani titini lo costringono, a lui e altre migliaia di italiani, ad andarsene. «Ci chiamavano esuli, ma noi eravamo solo italiani», raccontò decenni dopo. Il fratello Eliano fu rapito dai poliziotti di Tito per sette mesi. La madre si ammalò per l’angoscia e morì a nel ‘56. «Si respirava il terrore delle persecuzioni». Terrore che porta lui e la sua famiglia a fuggire a Trieste dai nonni. «Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati».
La sua rivincita l’avrà a 22 anni. È il ’60, a Roma ci sono le Olimpiadi. La finale per i pesi welter è tra lui e il sovietico Yuri Radonyak. Combatte con la fede nuziale della mamma legata ai lacci delle scarpe. Un gancio sinistro improvviso stende Radonyak. Nino è campione olimpico. L’Italia lo è. In quell’occasione vince anche il trofeo Barker, destinato al pugile tecnicamente migliore. A quelle Olimpiadi aveva partecipato anche Cassius Clay.
Con questa vittoria entra nel giro dei professionisti. 82 vittorie su 90 incontri. Due mondiali. E quella trilogia (vinta) contro Griffith. L’America lo adora. Sports Illustrated gli dedica una copertina. «Nessun campione piace come Nino», scrive di lui la rivista Life nel giugno del ’67. O le sconfitte con Monzon, uragano argentino, volto scavato e corpo fatto di muscoli e violenza. Sia con Griffith che con Monzon manterrà l’amicizia fuori dal quadrato. «Non puoi non diventare amico di un pugile con cui hai diviso la bellezza di 45 round». Al primo pagherà le cure per l’alzheimer e cercherà di farlo curare in Italia.
«Il sorriso largo e a volte indisponente gli avevano creato tifosi e detrattori insieme. Quella sua sete di protagonismo anche fuori dal ring gli nuoceva, ma a lui andava bene così. Pareva divertirsi. Italiano, bello, col viso pulito, piaceva alle donne. Gli italiani d’America avevano scoperto in lui il loro difensore», scriveva il giornalista Lamberto Artioli. Perché Nino è un viveur, spavaldo, ambizioso, piacente e piacione. Per quegli anni, troppo. Papa Paolo VI preferì annullare l’udienza in cui doveva riceverlo. Questo per la relazione di Benvenuti con miss Emilia Nadia Bertorello. Nulla di strano se non che era ancora sposato con la sua prima moglie e in Italia ancora non era stato fatto il referendum sul divorzio.
In una parola? Nazionalpopolare. Dalle parti nei cortometraggi di Carosello ai film western. Le interviste al The Dean Martin Show negli Stati Uniti dove canta That’s Amore. La brevissima esperienza politica nel ’64 con il Movimento Sociale Italiano. Una vita, quella della rappresentanza politica, però che non sente sua e che abbandona dopo poco. Ai comizi preferirà i guantoni. Benvenuti se ne è andato a 87 anni. Nino, il “gentiluomo del ring”, resterà per sempre. Nel cuore di tutti gli italiani che, grazie a lui, almeno per qualche ora si sono sentiti meno soli. Come quando, di notte, bastava una radio accesa per sentirsi invincibili.