In un mondo dominato dal digitale, Treccani sceglie di dare una forma fisica all’arte più immateriale di tutte. La nuova “Enciclopedia della Musica Contemporanea”, in uscita quest’anno, ha l’obiettivo di raccontare la ricchezza e la varietà della produzione musicale dal 1900 a oggi. Più di un secolo di creatività e innovazioni artistiche racchiuse in quattro volumi cartacei che si sottraggono alla dimensione dell’online.
Una scelta controcorrente che risponde al bisogno di fermare sulla carta un traffico continuo di informazioni. I libri dell’enciclopedia, concepiti per essere consultati, conservati e riscoperti, permettono di riappropriarsi di una dimensione della musica che oggi si perde nel flusso ininterrotto dello streaming: il tempo della riflessione.
«La scintilla iniziale è stata accesa dal compianto Ernesto Assante, che sentiva il bisogno di ‘mettere un po’ d’ordine nella storia della musica del Novecento e contemporanea’», racconta Sandro Cappelletto, che ha assunto la direzione dell’opera insieme allo storico giornalista di Repubblica scomparso lo scorso anno.
I quattro volumi della collana sono un viaggio unico al mondo nel loro genere: 344 autori, 3000 voci e oltre 3000 immagini per raccontare tutta la musica, senza distinzioni tra generi o artisti. Dietro la realizzazione di un progetto così ambizioso si nascondono tre anni di lavoro e una sfida editoriale enorme. Il primo passo è stato la composizione del lemmario, che pone di fronte alla scelta di cosa inserire e cosa escludere.
«Molti nomi sono indiscutibili, numerosi altri sono stati inseriti in alcune voci tematiche, mentre un inevitabile criterio soggettivo ha guidato le scelte fra gli artisti contemporanei che ci sono sembrati più meritevoli di essere segnalati», spiega Cappelletto.
Abbattendo la gerarchia tra musica colta e popolare, la raccolta include linguaggi diversi con il proposito di mescolare le carte e mostrare la complessità della storia artistica del Ventesimo e Ventunesimo secolo. In questa ricerca, la presenza di Assante ha giocato un ruolo fondamentale: «Ernesto chiedeva molto a se stesso e, di conseguenza, a tutti i collaboratori. Per essere credibile, amava ripetere, un critico, uno storico della musica, deve leggere un libro in più, ascoltare un disco in più, andare a un concerto in più di chiunque altro», ricorda Cappelletto. «La collaborazione con lui mi ha consentito di avviare riflessioni mai scontate. Non si accontentava: leggeva, rileggeva, correggeva. Migliorava sempre».
La volontà che anima il progetto è quella di rappresentare la musica come espressione totale. Dalle composizioni classiche al rock fino al rap e alla trap, l’enciclopedia tratta i generi e i temi più disparati, tra cui trovano spazio anche il rapporto con l’ecologia, la politica, le neuroscienze, la moda e l’intelligenza artificiale.
Un’operazione complessa che nasconde numerose sfide: «Le difficoltà principali sono state due, – racconta Cappelletto – da un lato non dimenticare alcun aspetto della creatività musicale contemporanea e dell’insieme della musica come espressione sociale e commerciale, dall’altro coordinare il lavoro di tutti i collaboratori, che ringrazio con grande affetto e stima».
Guardando al futuro del panorama musicale, il direttore dell’enciclopedia non nasconde una preoccupazione: «Temo che si andrà verso una ulteriore semplificazione del linguaggio espressivo, dettata dalle esigenze commerciali. I tanti artisti che non si accontentano di sensazioni epidermiche dovranno fare ricorso alle loro energie creative più tenaci per non cedere a questa tendenza».
Contro il rischio di una produzione artistica sempre più uniforme e superficiale, l’Enciclopedia della Musica Contemporanea Treccani si propone di lasciare un’eredità che vada oltre il momento storico in cui si conclude la ricerca. «Spero che quest’opera diffonda la consapevolezza di quanto il Novecento ha saputo creare, – dice Cappelletto – nuovi linguaggi, nuove tecnologie, la riscoperta dei patrimoni storici del passato».
Una tradizione che la Treccani prova a fissare sulla carta, sfidando la velocità e la fugacità del presente. «Se dovessi scegliere una voce simbolo dell’intera opera – conclude il direttore – sarebbe “Tempo”, scritta da Stefano Oliva. Aiuta a capire il potere della musica di essere nel tempo ma anche contro e al di là di esso, creando una propria peculiare dimensione percettiva che smargina la scansione cronometrica».
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