Esclusiva

Ottobre 27 2025
La scuola scende in piazza per l’emergenza istruzione

Una protesta contro le nuove indicazioni nazionali, accusate di riportare l’insegnamento a un modello arcaico e selettivo

L’audio degli altoparlanti è disturbato, a tratti indistinguibile. Le parole si confondono in un ronzio statico, mentre tra la folla serpeggia un brusio di insofferenza. Eppure, nessuno indietreggia: nella mattina del 18 ottobre 2025 a Roma, decine di persone restano ferme davanti al Ministero dell’Istruzione e del Merito, schierate con determinazione.

Malgrado i problemi tecnici, la richiesta di essere ascoltati resta viva. Partecipanti irremovibili alzano sempre più in alto bandiere rosse su cui si leggono sigle sindacali o slogan pro-scuola democratica, mentre gli studenti presenti danno il via a cori dal testo: “No alla scuola del passato, Valditara torna al presente”.

Tra i manifestanti vi è un intento comune: quello di protestare contro le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, percepite come il ritorno di un insegnamento arcaico, autoritario e selettivo. Nella folla di questa manifestazione, organizzata dal Tavolo nazionale per la scuola democratica, si mischiano genitori, figli, lavoratori, studenti e professori, accomunati dalla volontà di difendere l’idea opposta, ovvero quella di una scuola inclusiva e accessibile a tutti.

Una protesta per la salvaguardia dei valori educativi che unisce tutti i fronti, in particolare chi prima sedeva ai lati opposti della cattedra. Come Paola, 60 anni, professoressa di lettere, ora circondata dai suoi studenti a combattere per un ideale comune. «Dopo anni della mia vita dedicati all’insegnamento mi rifiuto di sottostare a chi della scuola, come descritta nell’articolo 3 della nostra Costituzione, vuole invece farne una macchina racimola-uomini, un sistema che sovrasta l’individualità e che omologa senza però professare l’uguaglianza e le pari opportunità», così si confida la docente.

Pochi gradini più su, esattamente dietro il banchetto della CGIL, a manifestare lo stesso dissenso è il professor Christian Raimo, per settimane rimasto al centro dell’attenzione mediatica dopo la sospensione di tre mesi per aver definito il ministro Valditara un bersaglio debole da colpire politicamente, come si colpisce la morte nera in Star Wars. «Si è qui per far fronte a un’emergenza, poco sentita in quanto divenuta un avvelenamento progressivo dell’istituzione democratica della scuola. Stiamo assistendo a un momento in cui il corpo insegnante, e non solo, prova ad opporsi a un disegno governativo molto ideologico di trasformazione scolastica», asserisce il docente.

Una visione di istruzione discordante da quella passata, che parte dalla modifica del nome dello stesso Ministero, introdotto il 4 novembre 2022 dal Governo Meloni. «Un cambio non semplicemente formale, ma che imprime un accento marcato all’istituzione scolastica, cioè quello di una scuola che non guarda all’inclusione o all’uguaglianza, ma punta invece alla mera selezione», dichiara Raimo.

Sempre secondo il professore, questa retorica che strizza l’occhio al riformismo di destra rimane evidente in tutte le norme introdotte nel mondo scolastico: tra cui le nuove indicazioni nazionali, le linee guida dell’educazione civica, il consenso informato sull’educazione sesso-affettiva e lo stesso “4+2”, ovvero una riforma con l’obiettivo di creare tecnici specializzati che possano inserirsi più rapidamente nel mondo del lavoro.

Dalle parole del professor Raimo emerge l’immagine di un governo italiano impegnato in una riforma apparentemente capillare, ma in realtà sintomo di un disegno più ampio, preciso e in netto contrasto con l’idea di scuola delineata nella Costituzione.

Alla domanda su come si immagina quindi una vera e propria istruzione democratica, il professore sorride. «Dovrebbe essere come se studenti, docenti, personale scolastico e famiglie facessero tutti ricerca insieme. C’è un’idea in cui, appunto, il maestro non è magister, quello che ne sa di più, ma in qualche modo la figura che aiuta e sostiene gli alunni in una crescita di ricerca comune». Questa idea, derivante da ideologie pedagogiche affermatesi nel corso del Novecento, si trova in una posizione altamente antitetica rispetto a quanto dichiarato nelle nuove Indicazioni nazionali. A pagina 7 di questo stesso documento, infatti, l’insegnante viene ricordato essere magis, e quindi volano del desiderio di apprendere di un allievo, eclissando la fondamentale cooperazione tra maestro e studente.

Poco più in là, appena sotto il colonnato del Ministero, si trova Sandra, anche lei insegnante. Prende la parola al microfono, che stavolta restituisce la sua voce nitida e potente: segno che i problemi tecnici di poco prima sono stati finalmente risolti. La professoressa definisce la meritocrazia, per come intesa oggi, un problema della nostra società, sbandierato come valore ma privo di fondamenta solide. «Uguaglianza significa possibilità di partire dallo stesso livello. Quindi, nel momento in cui tutti hanno la possibilità di iniziare dallo stesso piano, si può parlare di merito. Sennò, come si dice da me, chi ha più polvere spara», commenta Sandra. «Io stessa sono figlia di un operaio e di una domestica e ce l’ho fatta a fare l’insegnante facendo molta fatica, ma ragazzi che non hanno la possibilità di confrontarsi, di pagarsi le ripetizioni o di studiare in un ambiente consono possono rischiare di essere considerati meno meritevoli di altri da questo governo».

Sandra continua il suo discorso condannando fermamente le riforme a costo zero, i giudizi sintetici alle elementari, l’inesistenza di corsi contro il burnout, i concorsi pubblici facilitati per le cattedre di sostegno e la creazione delle cosiddette “classi pollaio”.

Concetti ripresi anche dal segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, che denuncia la mancanza di una reale disponibilità al confronto da parte del governo con il mondo della scuola. «Sono una persona che a 16 anni ha dovuto smettere di studiare perché la mia famiglia non aveva più i soldi per permettermelo. Quando sento parlare di meritocrazia, sorrido», afferma. Landini esprime un netto dissenso verso una riforma che, a suo avviso, ignora la dimensione democratica dell’istruzione. E conclude: «La democrazia si difende praticandola, e noi siamo qui per questo».