Alle prove dello spettacolo Antonia cadde davanti a tecnici, macchinisti e compagni attori. Una caduta netta, anche un po’ imbarazzante, che la costrinse a rialzarsi subito. «Non c’era il pubblico, ma la lezione fu chiara: l’equilibrio non era proprio cosa mia». Però anche dagli inciampi si impara e per Antonia quel momento fu il primo in cui dovette imparare a reggere lo sguardo degli altri. In quei giorni, tra prove e luci della ribalta non ancora accese, capì quanto il teatro potesse insegnare: disciplina, attenzione ai dettagli, gestione dello spazio e del tempo, tutto ciò che poi avrebbe trovato utile anche nel giornalismo.
Il teatro non le ha lasciato solo quella caduta. «È stato il primo luogo in cui ho scoperto la mia voce e il ritmo di ciò che si può comunicare. Lì ho imparato a stare nello spazio senza aver paura di mostrarmi, a dosare parole e silenzi, a raccontare senza fronzoli. Senza che me ne rendessi conto, tra quelle quinte ho mosso i primi passi verso la comunicazione, verso la ricerca della verità che più tardi mi ha fatto intraprendere la strada del giornalismo».
Antonia è nata a settembre del ’99, è cresciuta in una famiglia in cui le donne hanno avuto un ruolo determinante e ha appreso ben presto che forza e determinazione non vanno ostentate: si esercitano, si mantengono, si trasmettono. Finito il liceo classico si iscrive alla facoltà di architettura. La precisione e le linee pulite, la ricerca di equilibrio nei progetti la attirano. Per un po’ funziona, ma presto si rende conto che disegnare forme non basta a capire sé stessa. L’architettura le fa vedere i propri limiti e le mostra che ha bisogno di strumenti diversi per esplorare il mondo e il pensiero nel modo che vuole lei.

Così passa alla filosofia e si laurea con una tesi su Günther Anders. «Anders è eretico, è anticonvenzionale. Studiare i suoi testi significa confrontarsi con i rischi della modernità, ma anche con i propri limiti, imparando a misurare chi si è e come si osserva il mondo senza filtri e senza paura». La filosofia non risolve, ma cerca risposte e nel farlo diventa bussola. Le restituisce strumenti per comprendere il mondo e sé stessa, per imparare a muoversi sul palco della vita con maggiore consapevolezza.
Avellino resta il suo punto fermo. «È il mio posto. Ne riconosco pregi e difetti, ovviamente, ma è e sarà sempre casa mia», dice senza retorica. La città «ferita» è origine e ritorno, ne conosce ogni piega, ogni crepa. Dal corso principale ai vicoli nascosti, dalle piazze soleggiate ai quartieri più silenziosi di cui gode passeggiando in solitudine, tutto le è familiare. È a casa che torna sempre, tra una trasferta e l’altra, tra le prove teatrali e le ricerche di filosofia.
Il giornalismo arriva più tardi, senza clamore. «È la strada meno comoda, la più incerta forse, ma tiene insieme tutto ciò che ho vissuto: la disciplina dell’architettura, la profondità della filosofia, la voce e il corpo allenati dal teatro». Raccontare significa esporsi, assumersi rischi, stare in bilico senza vacillare, rendere comprensibile ciò che non è di immediata comprensione.
Oggi Antonia procede con passo saldo ma non rigido. Ha imparato che l’equilibrio a volte può essere incerto ma che alcune cadute – specialmente quelle durante le prove di uno spettacolo – possono insegnare a crescere e a indicare da dove ricominciare. E lei, da allora, ricomincia sempre, consapevole che ogni inciampo è una lezione, ogni bilico una possibilità di vedere più lontano.