Esclusiva

Dicembre 10 2025
Bianca Bettacci

«Mia nonna mi ha soprannominata “Prudenzia”. Ho sempre avuto un’avversione per i pericoli e per gli sport di squadra»: è questa la prima cosa che Bianca Bettacci, 24 anni, racconta di sé.
Mentre controllava ogni passo per non inciampare, il pianoforte e la lettura sono sempre stati lì, come due amici leali e silenziosi. I concorsi musicali, affrontati fin dai sette anni «con tanti adulti che osservavano tutto ciò che facevo», l’hanno costretta a crescere senza timidezza e, soprattutto, a non temere il giudizio e l’autorità. Gli adulti sono sempre stati una «compagnia piacevole e stimolante: siano i miei cari, sempre pronti ad applaudirmi, o i compagni del corso di teatro». È proprio sui palchi, tra musica e recitazione, che ha capito per la prima volta quanto fosse naturale, per lei, trasformare la tensione in energia.

A Bianca, ambiziosa e combattiva come tutti gli aretini, non è servito «domandarsi cosa fare da grande. Dopo gli anni belli del liceo classico, vissuti da rappresentante di classe e tra mille attività, la risposta sembrava naturale e scontata: l’insegnante di lettere classiche». Tuttavia, nella desolante Pisa, la quotidianità degli studi è diventata presto una sequenza di giornate tutte uguali: ore chine sui testi, approfondimenti minuziosi. Lì, «la costanza e la dedizione mentale che i compagni mostravano nell’analizzare la Repubblica di Platone mi hanno fatto provare cosa significhi sapere di essere bravi ma sentirsi comunque fuori posto». A quel senso di scollamento si aggiungeva l’etichetta che lei stessa si era cucita addosso: «quella della prima della classe, impeccabile e instancabile, sempre all’altezza delle aspettative» — spesso più sue che degli altri.

Bianca Bettacci

C’è, però, un’altra Bianca: «non solo la studentessa che ha sguazzato con felicità tra Cicerone e la storia contemporanea». In lei vive anche un lato più leggero e curioso: «quello del teatro, delle lunghe estati in macchina con i genitori, dell’Europa attraversata senza itinerari fissi, delle scoperte affidate al caso». Un lato che affiora anche sulla pelle. I suoi quindici tatuaggi parlano al posto suo e raccontano le sue passioni: un arcobaleno colorato, «Ammonite» e «Meet me in Montauk» per ricordare i suoi film preferiti, oppure il numero 29 sul polso, come l’anno di nascita dei nonni e di Oriana Fallaci.

Con la stessa sicurezza e determinazione che l’hanno accompagnata fin da piccola, Bianca ha scelto di lasciarsi alle spalle il mondo accademico, così chiuso e rigido. «Ho deciso di seguire la strada più semplice, quella che in fondo è sempre stata davanti a me: il giornalismo, un mondo in cui posso muovermi in modo libero».

Guardando indietro, Bianca riconosce due momenti nitidi che l’hanno condotta tra questi banchi. Il primo è l’incontro con La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci, comprato per capire più a fondo gli gli attacchi alla redazione parigina di Charlie Hebdo, che causarono dodici morti tra giornalisti e collaboratori. Il secondo è Barcellona: «trovarsi appena fuori dalla Rambla il 17 agosto 2017 — quando sedici persone furono uccise in un  altro attentato terroristico —  mi ha fatto conoscere la paura più improvvisa e paralizzante, che svuota le parole e amplifica ogni rumore. Da quell’esperienza ho capito quanto sia preziosa un’informazione chiara e tempestiva, capace di orientare le persone nel caos».

Ora Bianca non è più “Prudenzia”, la bambina che camminava in punta di piedi per non inciampare. È una giovane donna che ha capito che, prima ancora di raccontarlo, il mondo va attraversato: con lo sguardo aperto, la curiosità e il coraggio di chi non teme di cambiare strada.