Chiara Servino dice di essere stata la «persona più indecisa del mondo» e non è difficile crederle: istituto alberghiero a Milano (dove è nata nel 2001), laurea in Cattolica dove ha studiato Inglese e Spagnolo (lingua che però dice di aver odiato), pianista, cantante (prima della Cattolica ha studiato per un anno sound design allo IED), sportiva a livelli agonistici (sci, nuoto, equitazione) e ora la Scuola di Giornalismo alla LUISS.
«Ho cambiato mille volte strada», ma sembra invece continui a percorrerle tutte: «suono ancora e mi sto preparando per attraversare lo Stretto di Messina a nuoto». Quest’impresa è un vero e proprio affare di famiglia, i suoi genitori lo hanno già attraversato tre volte e ora vuole unirsi a loro. I suoi fratelli l’hanno invece iniziata alle domeniche sportive che sono diventate prima abitudine e poi passione. Segue il MotoGP, la Formula 1 («avrei preferito il Mondiale lo vincesse Verstappen») ma soprattutto il calcio. Tifa Napoli, che è la città di origine di suo padre, e lo segue da abbonata in trasferta. Il Napoli per Chiara è una forma di identificazione con una vicenda privata, quella della sua famiglia, e soprattutto con qualcosa di più ampio che riguarda tutta la città. Gli ultimi due scudetti rappresentano per lei qualcosa che va oltre il calcio, che ha a che fare con l’ostinazione di una comunità a cui sente di appartenere.
Un anno fa era a Medellin in Colombia per uno stage, è stata la sua occasione di approfondire il tanto odiato spagnolo (che oggi adora) e allontanarsi per qualche mese da Milano: «ritrovarmi da sola, in un monolocale, in una città di 3 milioni e mezzo di abitanti non è stato facile e più volte ho pensato di ritornare a casa. È cambiato tutto quando ho deciso di allontanarmi dalla città con un bus ed esplorare le periferie. In quel momento, seduta in un parco, ho deciso che quella era una sfida e che dovevo arrivare fino in fondo».

Al ritorno si è laureata con una tesi su L’odio di Mathieu Kassowitz: «in questo film ho riconosciuto dinamiche su cui spesso avevo riflettuto, anche in Colombia, ed è per me la migliore rappresentazione dell’involontarietà e della banalità del male».
La scelta del giornalismo è invece una prosecuzione della sua passione per lo sport. In Italia il giornalismo sportivo è un ambito prevalentemente maschile e Chiara vorrebbe imporsi proprio in quei canali dove le voci femminili sono oggi assenti, come i podcast: «fin da piccola ho percepito il pregiudizio maschile rispetto alle mie passione e non ho mai smesso di intenderlo con indifferenza e distacco». Col tempo ha imparato a riconoscerne i meccanismi: le domanda di verifiche sulle sue competenze, l’idea che una donna si occupi di sport «per caso», l’abitudine a considerarla un’eccezione specialmente se si parla di motori. Di Formula 1 però sa tutto ed è affascinata dalla velocità dei pit-stop (« straordinari!») in cui in due secondi i meccanici sostituiscono le ruote di una macchina da corsa. Le interessano infatti soprattutto gli aspetti tecnici degli sport, schemi tattici nel calcio, regolamenti nelle gare, componenti meccaniche dei veicoli. L’affascinano però anche le grandi storie di sport, quelle di riscatto e perseveranza, su tutte l’epopea di Maradona a Napoli e la biografia di Lewis Hamilton.
Alla Scuola di Giornalismo ci arriva con tutto questo: la disciplina dello sport, la curiosità del viaggio, l’attenzione ai dettagli tecnici e la sensibilità per le vicende individuali. Soprattutto non sembra più così indecisa.