«Mia madre dice sempre che dovrei fare politica, io dico no. Il giornalismo mi permette di parlare di politica senza scottarmi». La stretta di mano con Silvio Berlusconi nel 2015 all’Expo di Milano sembra aver dato un segnale. Ma non definitivo.
Vincenzo ha ventiquattro anni, è laureato in filologia e coltiva da sempre la sua passione per la politica. «Mi interessa la politica interna ma, da un anno e mezzo a questa parte, ho iniziato quasi per caso a interessarmi alla politica e alla geopolitica del Vaticano». Una scelta singolare. Tra i motivi di questa fascinazione la morte di Papa Francesco, l’elezione di Leone XIV e la centralità ricoperta da Roma nell’anno del Giubileo. «La Chiesa è l’unica istituzione fuori dai nostri confini che usa l’italiano come lingua di lavoro. E mentre in Italia c’è lo stigma che la politica non sia in grado di portare a veri cambiamenti, credo che la geopolitica vaticana sia in grado di cambiare veramente le cose». Per Vincenzo il Papa non è soltanto una guida pastorale, ma una figura politica dal potere straordinario.
Eppure il suo rapporto con quel mondo resta indiretto. «Non ho mai conosciuto potenti uomini di Chiesa. Nel periodo dell’università, la domenica andavo a San Pietro, sentivo l’Angelus e scrivevo una pagina. Alle volte parlava un quarto d’ora, alle volte un’ora. Quello era l’unico modo con cui potevo relazionarmi». Il resto lo apprende da letture e approfondimenti. «Se vuoi informarti su un Papa devi leggere direttamente quello che scrive. Per esempio, le encicliche di Papa Francesco le ho lette tutte perché sono poche. Quelle di Pio XII sono quaranta. Insomma, è particolare». Sui social non trova grandi esperti, ma un riferimento ce l’ha. Si tratta di Piero Schiavazzi, giornalista di Limes e docente della «prima e unica cattedra al mondo di geopolitica vaticana» presso l’Università Link Campus.

Accanto alla passione per la politica vaticana c’è un piccolo catalogo di abitudini e passioni che Vincenzo stesso enumera con precisione. «Se dovessi andare su un’isola deserta, mi porterei la settimana enigmistica e le salviettine. Non giro mai senza. Se finisco le salviette e sto in giro, mi prende l’ansia». Poi i romanzi horror francesi. «I film mi mettono ansia, mentre i romanzi sono un’altra cosa. Il mio autore preferito è francese e si chiama Franck Thilliez. Scrive dei romanzi che sono lunghissimi. Il più lungo, da 500 pagine, l’ho letto in un pomeriggio». E il suo rito del venerdì, il giro al mercatino dell’usato a Viale Tiziano al Villaggio Olimpico, dove thrifta pesantemente. Porta Portese, invece, non lo ha convinto.
Nel frattempo, ha accumulato anche esperienza come insegnante privato di greco. Talvolta con discreto successo, talvolta meno. «Non sono mai riuscito a tenere un ragazzino per più di sei mesi. Vedevo palesemente la morte negli occhi dei ragazzi quando andavo a casa loro per fare ripetizioni», afferma scherzando.
E poi c’è quella stretta di mano. Milano, Expo 2015. Berlusconi circondato dalla folla, un varco improvviso e il piccolo Vincenzo che esclama «Presidente». Oggi la definisce ironicamente «provvidenziale». Sua madre la interpreta come un segno del destino, Vincenzo no. Preferirebbe fare il giornalista e parlare di politica senza farsi travolgere da quest’ultima. «Non sono una persona in grado di farsi riprendere da duemila telecamere. Il giornalista lo deve fare una volta ogni tanto, poi torna in redazione. Se dovessi fare politica, farei il burocrate». Questi sono gli interessi principali di Vincenzo, che non rinuncia al suo sogno nel cassetto: raccontare un giorno la politica vaticana.