Esclusiva

Dicembre 11 2025
«C’era anche il mio nome» la nuova lista degli stupri

All’Istituto Carducci è comparso un elenco di studentesse da violentare. Il racconto di chi frequenta la scuola

È suonata la campanella ed E., sfuggendo le domande e i bisbigli dei compagni, si allontana in fretta dal cancello dell’Istituto Carducci. Ha gli occhi lucidi e la voce rotta: «C’era scritto il mio nome. Ora voglio solo andare a casa, scusate».

A pochi giorni dal caso della “lista stupri” del Giulio Cesare, altri due elenchi sono comparsi sui muri di un liceo romano, facendo emergere un problema che nelle aule si percepisce da tempo ma di cui si preferisce non parlare: la violenza delle parole, dei soprannomi e di quelle che spesso vengono liquidate come ragazzate.

Il gesto sui muri non è un episodio isolato: dietro le scritte si nasconde una realtà che gli studenti faticano a comprendere ma che le studentesse conoscono bene. 

Parla Francesca, portavoce del collettivo Asmara: «Questo istituto è tutt’altro che inclusivo e sicuro e noi, prima come donne e poi come alunne, siamo stanche di sentirci abbandonate dalle istituzioni scolastiche». È opinione diffusa che nelle aule del Carducci nessuno parli mai di responsabilità, rispetto e consenso. E gli atti di denuncia di pochi coraggiosi finiscono per scontrarsi con l’indifferenza della scuola, mentre le scritte sui muri restano l’unico segnale visibile di un problema serio.

«Non basta reagire al gesto, cancellare l’inchiostro sul muro», avverte Francesca. «Se non si cambia il contesto in cui nascono le violenze, continueranno a ripetersi. E noi continueremo a subire». 

«È una cosa sbagliata, ma alla fine non è altro che una bravata: hanno scritto il termine ‘stupri’ per fare clamore, ma ci poteva essere qualsiasi altra parola al suo posto». Per Simone, Andrea e Leonardo, tutti al quinto anno del Carducci, la notizia del giorno è solo una delle tante vicissitudini che animano i corridoi scolastici ma che scorrono nel sottofondo delle loro vite di diciottenni con un piede già fuori dall’istituto, orientati ormai al mondo del lavoro. «Sono tutte cose che si scrivono ma che tutti sanno non accadrebbero realmente, goliardie a cui ricorrono i ragazzini del primo o secondo anno per creare casino a scuola, allo stesso modo in cui noi del quinto organizziamo le occupazioni», raccontano. 

«La cosa che mi ha colpito non è stata tanto la scritta in sé, ma il pensiero che rappresentava». Ciglia finte, sigaretta elettronica in mano e borsa di pelle in spalla, C. e M. sono due delle tante ragazze che affollano via Asmara all’uscita dalla scuola, e che con loro condividono non solo l’estetica, ma soprattutto la preoccupazione per quella che è ormai diventata la notizia principale tra gli studenti del Carducci. «È come un virus, che adesso è arrivato anche da noi e la cui gravità continua ad essere minimizzata da molti nostri compagni, ma non può funzionare così. Non può essere che per diventare qualcuno si debba fare la cosa più sbagliata a cui si possa pensare». 

Nessuno dei ragazzi del Carducci ne dubita: nel cortile di una scuola i cui alunni sono quasi indistinguibili per abbigliamento e per modo di atteggiarsi, che tra una tirata di sigaretta e l’altra sembrano voler continuamente imitare il mondo degli adulti, chi ha lasciato quelle scritte in bagno l’ha fatto per farsi notare, «per diventare influente». 

E se i collettivi dell’istituto denunciano il più ampio clima di discriminazione e sessismo che si respira nelle aule, i racconti di C. e M. ne restituiscono la gravità. «Non sono solo alcuni professori, uno dei quali, prima di essere allontanato dalla scuola per altri motivi, non si faceva problemi a commentare i corpi delle ragazze – raccontano -. Spesso sono coinvolti i collaboratori scolastici: c’è un bidello che nei corridoi della scuola guarda e fischia alle studentesse, in modo insistente». Le ragazze non si sono stupite che dai professori non sia arrivato alcun spunto di riflessione in classe dopo il clamore mediatico suscitato dalla ‘lista stupri’ del Giulio Cesare.

«Ne abbiamo parlato, sì, ma solo tra di noi compagni di classe. Quello della violenza di genere non è un tema che interessa particolarmente i nostri docenti» conclude C., la voce decisa nel disappunto per l’inerzia che avverte negli adulti della sua scuola, indirettamente proporzionale alla problematicità di un fenomeno sociale che coinvolge ormai anche le generazioni più giovani, quelle che si pensava essere maggiormente sensibili al tema.

«Questo è il giochetto del sistema patriarcale – riprende Francesca del collettivo Asmara -, in cui le donne crescendo sentono di doversi continuamente vergognare, scusare e coprire in tutti i sensi, e diventano adulte pensando che tutto ciò sia normale». E altrettanto normale diventa avere un professore di religione che nelle ore di lezione davanti agli studenti di tutte le classi dell’istituto «dice che chi abortisce è un’assassina, mostra i corpi delle persone trans affermando che sono contro natura, e insegna che la donna deve lasciare all’uomo la conquista dei successi professionali». Fino ad arrivare a ritorsioni a scuola di fronte alle denunce degli studenti. «Quando abbiamo raccontato delle parole di questo docente ai giornali, l’istituto, che si trovava in periodo di open day, ha perso degli iscritti». Così un’insegnante ha pubblicato sul registro elettronico una lettera in cui scriveva che i ragazzi si erano inventati tutto, mentre anche i rappresentanti di istituto si sono dissociati dalle affermazioni del collettivo. «Oggi più che mai noi ci sentiamo sole», conclude Francesca. 

È a questa mancanza che cerca di sopperire la Rete degli Studenti Medi Lazio, sindacato che si batte per il diritto allo studio e che negli ultimi giorni ha pubblicato un Codice per la prevenzione e il contrasto di fenomeni di discriminazioni, molestie e mobbing. «La misura più urgente da implementare è l’educazione sessuoaffettiva come materia obbligatoria per ogni ordine e grado di istruzione – chiarisce Bianca Piergentili, coordinatrice della Rete -. C’è bisogno di codici anti molestie all’interno delle scuole, che valgano sia per i docenti che per gli studenti, oltre a due mozioni più concrete, che ci stiamo battendo per far applicare: un congedo mestruale che giustifichi l’assenza da scuola per chi soffre di patologie ginecologiche invalidanti, e la carriera alias che permetta agli studenti che lo desiderano di utilizzare il nome d’elezione e non il deadname nel registro elettronico».