Esclusiva

Dicembre 13 2025
Quaglia Sovversiva, l’anti pop di Marco Castello

Rabbia, funk, Sicilia. Il nuovo album del cantautore siracusano è una bomba a orologeria nelle contraddizioni del presente

A Marco Castello sono venuti i cinque minuti. Ne ha aggiunti altri trenta ed ecco Quaglia Sovversiva, terzo album del cantautore siracusano, il più nervoso. Ce l’ha con “la stupidità umana”, con “le porcherie pubblicitarie”, con “un mondo marcio a cui disobbedire”. Sogna pompe di benzina in fiamme, i monti Iblei pieni di tritolo, la base di Sigonella ricoperta di escrementi. Tutto questo con un dolce sottofondo funk.

Sogna, ancora, di volare via. Di farlo con le ali della sua stessa terra, quell’isola di Ortigia (dal greco ortyx, quaglia) che nei versi di Scoglio Volante si sbarazza del mare e torna “ad abitare i cieli”. Il mondo non gli interessa più. Gli interessa la lingua in cui si sente a casa, il siciliano, che rimane centrale nella sua scrittura. “Picchì si chista è ‘a liggi, megghiu ‘siri criminali”, perché se questa è la legge, meglio essere criminali, chiosa nell’ultima strofa di Chiuviti/Nun Chiuviti.

«Vivo un lungo periodo di rabbia col mondo e se ne avessi il coraggio o anche solo le capacità fisiche penso molto spesso che mi darei all’eversione più efferata», spiegava in un post pubblicato sul proprio profilo Instagram lo scorso 24 ottobre. «Ma il coraggio non ce l’ho, men che meno le capacità fisiche, per cui ho deciso di mettere nelle canzoni ciò che per un motivo o per un altro non posso fare nella realtà».

Ma sopra la rabbia si può ancora ballare. Basta fare attenzione alle schegge di un progresso senza più illusioni in cui Maccucciu – soprannome di Castello – non si riconosce più. Non si poga, insieme a questa Quaglia, ci si lascia cullare da un sound jazzato che non tradisce le atmosfere di Pezzi Della Sera (2023), album già pubblicato in autonomia tramite Megghiu Suli, l’etichetta da lui fondata dopo la fine del sodalizio con Erlend Øye dei King of Convenience.

Quaglia Sovversiva scherza con il pop. Lo sfiora senza mai indossarlo. Lo tiene in vita nei riff di chitarra, lo condanna quando manda al diavolo l’iperproduzione, come accade in Vessenali, brano che prende il nome dalla storpiatura dialettale di via Arsenale a Siracusa, emblema di un mondo perduto che non può tornare. Le luci fredde hanno sconfitto le luci calde e a un ragazzo siciliano hanno, per parafrasare Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, rubato una quota di gioventù.

“Finalmente meno artisti e più artigiani e ci riapproprieremo degli spazi”, la frase che chiude il singolo All’Acqua Ghiacciata, è al confine tra la minaccia e l’auspicio. L’artigiano non sceglierebbe mai “al posto dell’architettura, mura, ledwall e TV spazzatura”, un’ossessione per Maccucciu, deciso a “lapidare questo LED glaciale”, fa sapere ancora in Vessenali.

Ce l’ha con l’ordine, il terzo Castello, con il controllo, con la ripetizione. “E quando arriva la municipale, noi le ridiamo in faccia”; ma anche “che allegria farsi beffe della polizia” e forse anche di quella tradizione musicale italiana in cui non smette di sentirsi stretto, una quaglia senza padroni nel pollaio dell’indie italiano.