«CoronaCoin è un’aggiunta radicale al panorama di criptovalute che esistono oggi. È l’unica moneta basata sulle statistiche e le morti confermate diffuse dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)». È questa la definizione che danno gli sviluppatori di questa nuova criptovaluta, il cui meccanismo si basa sul numero di decessi causati da Covid-19. Ha anche un acronimo: $nCoV, uno scimmiottamento della sigla usata per identificare il nuovo coronavirus che ha già contagiato la popolazione di più di 40 paesi.
Il valore economico del CoronaCoin è determinato in maniera semplice quanto macabra: gli sviluppatori hanno rilasciato una quantità di criptovaluta pari alla popolazione globale, e ogni volta che il numero dei contagi e dei decessi globali cresce, viene ritirato un numero di unità (chiamati token) pari al numero di nuovi pazienti affetti o uccisi dal coronavirus. Con una quantità di valuta sempre meno disponibile, il suo valore cresce generando un guadagno per chi ha deciso di inserirla nel suo portafoglio digitale. Sulla pagina ufficiale del CoronaCoin, un contatore aggiorna in tempo reale il numero di token bruciati: più di centomila, al momento della scrittura di questo pezzo. Inoltre, la nuova e morbosa critpovaluta utilizza il sistema di blockchain di Ethereum, la popolare criptovaluta “coniata” nel 1994 da degli sviluppatori russi.
I canali di acquisto di questa valuta sono strettamente regolamentati e la speculazione non è tollerata: sul gruppo telegram (un’app di messaggistica istantanea molto usata per via della sua tutela della privacy) di CoronaCoin gli amministratori bannano chiunque provi a fare compravendita speculatoria di valuta: «Con l’intenzione di proteggere la nostra community, chiunque in questo gruppo parli di forme di compravendita fuori dal circuito ufficiale di scambio verrà rimosso. Per questo motivo, l’account dell’utente Klev è stato cancellato».
Ogni aggiornamento sui casi di infezione è seguito con trepidante attesa: il bot della chat, cioè un semplice algoritmo programmato per mandare messaggi automatici agli utenti, avverte i partecipanti del gruppo che il numero dei casi è aumentato.
La notizia genera un febbrile scambio di battute: «Il numero dei casi sta salendo» commenta un utente. «È il momento di vendere» risponde un altro. Insomma, è una gara ad azzeccare la scommessa giusta sulla diffusione dell’epidemia.
Per mettersi al riparo da polemiche sul fronte etico, gli sviluppatori sottolineano che «Coronacoin donerà il 20 per cento dei profitti alla Croce Rossa internazionale per supportarla nella sua lotta contro il virus. Questo vuol dire che se il valore della valuta cresce, crescerà anche il totale delle donazioni». Inoltre, raggiunti via mail sottolineano che «Mentre il nostro progetto può sembrare controverso ad alcuni, I nostri investitori sono persone responsabili e non farebbero mai nulla per diffondere intenzionalmente il virus».