«Per secoli abbiamo guardato a Marte come a un’altra Terra. Lo abbiamo sognato ad occhi aperti nelle notti antiche, lo abbiamo osservato attraverso un telescopio, quando la scienza ci è venuta in soccorso. Vi abbiamo visto più di quanto non ci fosse, ed è sempre cambiato a seconda del tempo: nei giorni di pace osservavamo il riflesso di un mondo migliore, e quando l’angoscia prendeva il sopravvento, stavamo di vedetta, nel caso di un attacco alieno. Marte è stata la rigogliosa patria delle nostre utopie e la landa desolata di paure ancestrali. Oggi è la nostra via di fuga».
Storico dell’architettura e professore di storia del design all’Elisava – Barcelona School of Design and Engineering – il dottor Daniele Porretta parla con la fantascienza nel cuore: cresciuto con le avventure del signor Spock e del capitano Kirk (i protagonisti della serie culto “Star Trek”), divoratore dei romanzi di Isaac Asimov e Arthur Clarke, quando si cita “La guerra dei mondi” non pensa a Tom Cruise ma ad Herbert George Wells, autore più di cent’anni fa dell’omonimo romanzo. Nell’immensa libreria alle sue spalle, ciascuno di questi volumi trova un posto d’onore.
Solo da pochi anni però i suoi studi hanno cominciato a gravitare nell’orbita marziana: «Devo tutto alla lettura della “Trilogia di Marte”, di Kim Stanley Robinson, che mi ha reso prigioniero del mito che circonda il pianeta e che mi ha portato a scrivere “L’Altra Terra”, un saggio che racconta proprio l’evolversi di questo mito nella letteratura scientifica e fantascientifica degli ultimi due secoli. È una narrazione al confine tra utopie e distopie: dalle prime osservazioni condotte da Giovanni Schiaparelli, che diedero vita alle più disparate speculazioni filosofiche, fino agli ambiziosi obiettivi di colonizzazione portati avanti da Elon Musk – imprenditore sudafricano fondatore di PayPal e della azienda aerospaziale Space X – e dalla new space economy degli anni 2000. E devo dire che mai come adesso, per molti, il sogno di una colonizzazione accarezza la realtà. Se non altro perché la nostra permanenza sulla Terra è a rischio».
«La verità è che siamo una specie in pericolo di estinzione. Ci riesce difficile pensarlo, circondati dagli agi a cui siamo abituati, ma negli ultimi dieci anni abbiamo assistito al susseguirsi di crisi di livello mondiale che purtroppo sono entrate a far parte della nostra quotidianità. Penso a una crisi economica dalla quale non siamo mai usciti, ma penso soprattutto alla questione del cambiamento climatico: scienziati ed esperti sostengono che abbiamo superato il punto di non ritorno, e sembra ormai inevitabile che un giorno il livello del mare si alzerà inondando intere città e distruggendo ettari di coltivazioni. Accadrà che intere zone del nostro pianeta diventeranno sempre più inospitali e che la popolazione mondiale, tutt’ora in crescita, si concentrerà in aree sempre più ristrette e disporrà di risorse sempre più limitate. Anche la pandemia del coronavirus che stiamo vivendo in questi giorni rappresenta un motivo di allarme».
Fa per aggiustarsi i grandi occhiali tondi da lettura, poi riprende in tono assertivo: «Tutti questi fattori, nella percezione collettiva, creano un senso di apocalisse imminente. Non voglio apparire disfattista, ma la scienza ci sta chiaramente suggerendo di correre ai ripari, di trovare un piano B. E una fuga su Marte, in un futuro non troppo lontano, appare una prospettiva affascinante».
Ma Marte può essere davvero la via di fuga dell’umanità?
«Non credo che Marte possa rappresentare il nostro piano B, di sicuro non nel breve termine. Le condizioni di vita sono terribili e le persone sarebbero costrette a sopportare privazioni ben più gravi di quelle che comporta una quarantena: tanto per fare un esempio, si dovrebbe vivere sottoterra respirando aria viziata, per via delle rigide temperature (in inverno si possono raggiungere -140° C) e perché l’estrema scarsità di ozono nell’atmosfera permette alle radiazioni solari, letali per ogni forma di vita, di raggiungere la superficie. L’alimentazione sarebbe completamente diversa da quella offerta dalla Terra: parliamo di un pianeta arido, desertico, senza presenza di acqua in superficie, e senza quindi possibilità di coltivare e di allevare. Chi è che oggi farebbe a cambio con la propria vita qui?»
Nonostante le evidenze scientifiche però, il mito di Marte non è tramontato.
«Colonizzare Marte è una suggestione che si ripresenta ciclicamente nella nostra storia. Ha resistito a tante delusioni, una su tutte quella del 14 luglio 1965, quando la sonda americana Mariner 4 riportò le prime fotografie in bianco e nero del pianeta e mostrò al mondo…un desolante e sconfinato deserto. Non c’erano gli alieni di Wells, né gli umanoidi di Percy Greg, e neanche i famosi “canali” intravisti da Schiaparelli. Solo un deserto abbastanza inutile». Eppure…
«Eppure rimane il pianeta a noi più vicino e anche il più simile. Abbiamo in comune l’alternanza delle stagioni, la presenza dei poli, la durata di un giorno solare (su Marte è di 24 ore e 35 minuti); persino le dimensioni planetarie non sono poi molto diverse. Questo, unito a un certo ottimismo verso lo sviluppo tecnologico e a una naturale e pur straordinaria propensione per l’infinito e per l’esplorazione di mondi sempre nuovi, è il motivo per cui continuiamo a subire il fascino della sua vicinanza. C’è chi è consapevole di questa attrazione e la sfrutta abilmente»
Il riferimento è alle numerose aziende aerospaziali private (la già menzionata SpaceX di Elon Musk, la Blue Origin di Jeff Bezos, la Breakthrough Starshot di Yuri Milner, la Virgin Galactic di Richard Branson) che dal 2010, a seguito di una concessione dell’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, possono collaborare con la NASA nelle missioni di trasporto e in quelle di servizio della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Sono proprio queste imprese e i loro capi multimiliardari ad aver dato impulso a quella che viene oggi chiamata new space economy, un’economia volta allo sviluppo di beni e servizi innovativi per la vita di tutti i giorni, derivanti dallo studio e dallo sfruttamento di risorse e di tecnologie spaziali. Tra gli attori di questo sistema spicca senza dubbio Elon Musk il quale, tra i tanti avveniristici progetti, propone la colonizzazione di Marte a partire dal 2024.
«Musk è un personaggio molto interessante. È un imprenditore di successo che si presenta al pubblico come il futuro salvatore del mondo, come colui che garantirà in tempi brevi la possibilità per l’uomo di abitare il Pianeta Rosso. La cosa più sorprendente, e che me lo rende simpatico – dice Daniele, sforzandosi di non ridere – è che nei suoi progetti attinge a piene mani dai libri e dai film di fantascienza. Anche i suoi razzi sono bellissimi, ammalianti, mi ricordano molto per stile quelli degli anni ‘50. Ma – aggiunge – i suoi obiettivi al momento non sono realistici. Credo che rientrino in una strategia di marketing, che servano più che altro a raccontare in modo accattivante la propria azienda, a farsi pubblicità. Al giorno d’oggi l’idea di terraformare Marte, cioè di adattarlo alle esigenze vitali di noi terrestri, è, appunto, pura fantascienza, non ci sono i presupposti scientifici e i costi sarebbero insostenibili per chiunque. Gli obiettivi veri della new space economy sono altri, molto più accessibili e remunerativi, come lo sfruttamento delle risorse minerarie degli asteroidi, o l‘idea di incentivare il turismo spaziale che già esiste, se pure riservato solo ai miliardari che se lo possono permettere».
Daniele si concede poi il tempo per una considerazione personale: «Per quanto mi riguarda sono molto combattuto: la parte di me più razionale mi impone di restare con i piedi per terra, nel verso senso della parola. Occupiamoci del nostro pianeta, pensiamo a salvarlo, perché al momento non ne conosciamo uno migliore». Si lascia per ultimo il piacere di togliersi uno sfizio, di esprimere un desiderio: «Non posso negare però che il futuro mi porta a pormi tante domande a cui mi piacerebbe dare risposte che forse non vedrò mai. Mi chiedo spesso come sarebbe costruire una civiltà multiplanetaria, intergalattica, realizzare scenari fino ad oggi visti solo nei film. Mi domando che tipo di cultura avranno i nostri discendenti nati e cresciuti su altri pianeti, come sarà la loro vita e quali storie scriveranno. È davvero questo il migliore dei mondi possibili?».
L’elemento forse più suggestivo del libro di Daniele Porretta, la cui pubblicazione è stata rinviata a causa dell’emergenza Covid-19, è che il sogno di Marte, minuziosamente raccontato dall’autore, ha un finale ancora tutto da scrivere. E che in fondo rappresenta quella parte dell’essere umano che non si rassegna alla propria incompiutezza, quell’anima che tende sempre all’infinito, cioè alla costante ricerca di nuovi orizzonti, mentre nel mondo a sua disposizione non trova che risorse limitate.
In questo senso, forse, Marte è davvero l’altra Terra. È il pulviscolo di eternità in ognuno di noi.