«Che cosa fa Dio davanti al nostro dolore? Dov’è quando va tutto storto? Perché non ci risolve in fretta i problemi? La risposta è nella croce portata dal Figlio»: così ha cominciato Papa Francesco la sua catechesi in occasione dell’abituale mercoledì di udienza generale. Con la differenza che, rispetto ai soliti mercoledì, Piazza San Pietro era deserta con il Papa solo nel suo studio privato, in diretta streaming. La Pasqua è vicina e il Vaticano ha già fatto sapere due settimane fa che nessuna celebrazione liturgica del triduo pasquale si sarebbe svolta in forma pubblica, compresa l’udienza del mercoledì santo che anticipa la celebrazione della messa in coena Domini del giovedì.
Questa sarà l’ottava Pasqua che Francesco vivrà da pontefice, e per la prima volta in otto anni a causa del coronavirus non potrà impersonare la “chiesa in uscita” più volte menzionata e richiesta al clero di tutto il mondo. Negli anni passati Francesco aveva vissuto il rito della lavanda dei piedi stravolgendo la rubrica del messale canonico e portando a Roma ciò che era solito fare da vescovo a Buenos Aires, chinandosi a lavare i piedi non di sacerdoti della diocesi dentro la Basilica di San Pietro (come da sempre avvenuto), ma di detenuti in più di un carcere, disabili, tossicodipendenti in recupero e migranti in un CARA, sia uomini che donne, e in un caso nel 2015 anche di un transessuale. Tutte persone provenienti da quelli che Francesco ha più volte definito nei suoi discorsi i “luoghi dello scarto” e della “globalizzazione dell’indifferenza”. Questa volta però la celebrazione eucaristica del giovedì santo dovrà tenersi dentro San Pietro, a porte chiuse ma in collegamento diretto con i fedeli di tutto il mondo.
Del resto il Papa sembra aver accettato con serenità la disposizione del divieto di tutte le celebrazioni delle messe in Italia: «questa sarà per noi una grande liturgia domestica, perché non possiamo andare in Chiesa in questi giorni». Alcuni hanno infatti interpretato queste parole come un monito a una parte dei fedeli italiani che da una settimana chiede alle autorità di poter tornare in chiesa per Pasqua, nonostante il divieto generale dovuto al diffondersi del coronavirus. «C’è stata una parola di chiarezza necessaria da parte del Papa per dei fenomeni eccentrici degli ultimi giorni, come le messe gridate dai campanili e dai terrazzi, o come messe con numerosi fedeli non autorizzate», ci dice Francesco Antonio Grana, scrittore e vaticanista per ilfattoquotidiano.it. «Alcuni fedeli pensano che siamo al tempo delle catacombe e che lo Stato stia vietando le celebrazioni pasquali per un motivo ideologico, invece si sta tutelando la salute pubblica. Ma la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha accettato pienamente tutte le indicazioni delle autorità, e la Segreteria Vaticana si è allineata ad ogni decisione. Il Papa è stato chiaro e ha spento ogni polemica: si può celebrare la settimana santa stando a casa come i primi cristiani, col Vangelo e il crocifisso, quando le chiese ancora non esistevano».
Anche il venerdì santo, giorno della Passione di Gesù, sarà diverso da quelli degli ultimi 50 anni per la Chiesa cattolica. Fu Papa Paolo VI a percorrere la prima Via Crucis al Colosseo nel venerdì santo del 1964, e da allora la tradizione, seguita in loco da centinaia di cittadini romani e non solo, non si è mai interrotta. Solamente Giovanni Paolo II nel 2005 non poté presenziare per gravi motivi di salute, lasciando il posto all’allora cardinale Ratzinger. Stavolta invece Papa Francesco celebrerà le 14 stazioni della Passione in una Piazza San Pietro deserta, scenario di fronte al quale i telespettatori non saranno nuovi, vista l’eco mondiale che ha avuto la celebrazione del 27 marzo scorso, in cui il Papa ha pregato per la fine della pandemia.
L’anno scorso le meditazioni della Via Crucis al Colosseo erano state scritte da Suor Eugenia Bonetti, attivista contro la tratta delle donne migranti costrette alla prostituzione. Quest’anno invece le riflessioni delle 14 stazioni sono state affidate a Don Marco Pozza, noto volto televisivo e cappellano carcerario a Padova. Le meditazioni daranno voce a vittime innocenti della giustizia, come un sacerdote condannato per abusi sessuali e poi trovato non colpevole, a detenuti condannati all’ergastolo, ai loro parenti e ai parenti di vittime di omicidio. Il Papa d’altronde si è già espresso con chiarezza riguardo l’universo carcerario nei giorni della diffusione del coronavirus, chiedendo ai fedeli di tutto il mondo di pregare per la loro condizione di salute e alle autorità politiche di trovare soluzioni dignitose in un momento così delicato.