«Ci saranno tante cose da ripensare dopo l’epidemia. Quanto spesso persone diverse, e sconosciute fra loro, toccano la stessa porta d’ingresso, in un ufficio o in uno spazio sociale? Che fine faranno i rubinetti con la leva nei bagni pubblici? Dopo la pandemia coronavirus, non cambierà magari l’approccio, ma si trasformeranno gli oggetti del vivere quotidiano. Il lavoro del buon progettista consiste nel creare spazi per qualificare la vita delle persone. Il suo pensiero tiene conto dei nuovi comportamenti che caratterizzano il mondo». Ha la voce posata al telefono Simone Micheli, architetto ed interior designer specializzato nella progettazione di hotel, ristoranti e centri benessere, che quest’anno compie 30 anni di attività. Avrebbe festeggiato con il suo pubblico durante la Milano Design Week ma il virus ha bloccato tutto.
«Pro-gettare significa guardare avanti, costruire ponti verso ciò che deve ancora accadere. È quello che sto facendo. Dobbiamo essere vigili, sotto i nostri occhi si sta formando una realtà diversa. Molti comportamenti che teniamo in questo periodo di emergenza diventeranno abitudini consolidate che modificheranno le nostre vite».
Le mascherine, ad esempio, saranno accessori d’uso comune, da tenere in tasca e tirare fuori all’occorrenza: sulla metro, al cinema, in auto con gli amici, durante una riunione di lavoro. Dovranno essere pieghevoli, lavabili e belle, da cambiare come l’outfit. Sorte simile toccherà ai contenitori di igienizzanti e saponi per le mani che, come gli occhiali, ciascuno avrà sempre dietro.
Per Micheli il ruolo dei sistemi domotici, e quindi l’utilizzo della tecnologia per migliorare la qualità della vita, crescerà moltissimo: basterà un click sull’app del condominio per chiamare l’ascensore e un altro su quella dell’hotel per aprire la porta della camera, evitando il contatto non necessario con aree che potrebbero rivelarsi pericolose.
«Diminuirà il numero delle superfici – aggiunge l’architetto con entusiasmo –. Avremo meno cose intorno perché si privilegerà la pulizia degli spazi e gli oggetti che sopravviveranno alla pandemia saranno intelligenti ed in grado di svolgere funzioni diverse a seconda dell’esigenza. D’ora in poi saremo molto attenti a non sprecare risorse che in altri momenti potrebbero risultare fondamentali e avremo più cura dell’ambiente intorno, anche degli spazi che non ci appartengono e che condividiamo con gli altri. Credo che questo virus stia ridando vigore al concetto di collettività».
Sarà la città, infatti, ad essere ripensata nel suo complesso, come un organismo composto da tante cellule – i quartieri – che insieme funzionano meglio ma che, all’occorrenza possono diventare autosufficienti. La mobilità dei cittadini cambierà: più grandi i marciapiedi e le piste ciclabili per permettere il passaggio a distanza, più frequenti ed ampi i parchi pubblici, più organizzato e capillare il trasporto.
Mentre il concetto stesso di lavoro diventa flessibile e fitto come una rete ricca di trame, gli uffici si faranno più piccoli grazie alla possibilità di lavorare da casa e di moltiplicare i turni, e più accoglienti perché rimarranno come luoghi di rappresentanza e di incontro. I sistemi d’areazione saranno fondamentali.
La casa tornerà ad essere il centro della vita degli individui e delle famiglie: non più dormitorio, diventerà il luogo in cui le persone si dedicano a loro stesse, a stare bene. Il virus non è una livella sociale perché chi si isola in una villa sta meglio di chi convive in 30 metri quadrati. Balconi, terrazzi e giardini (anche condominiali) avranno un ruolo centrale nella progettazione delle abitazioni e la stanza-studio, scarificata da anni, tornerà in auge grazie allo smart-working.
Il bagno, che negli ultimi tempi era tornato a catturare l’attenzione degli interior designer, acquisterà più spazio all’interno delle case in quanto luogo da dedicare alla pulizia del corpo.
A cambiare saranno anche le strutture dedicate all’ospitalità e ad accogliere turisti: hotel, ostelli, ristoranti e bar. Il settore hospitality è uno dei più colpiti dalla crisi economica che sta accompagnando e seguirà la pandemia. «È un campo che necessita di grandi interventi per ripartire. Ma non è facile dire come. Ci sono luoghi che dovranno essere re-immaginati: gli spazi per i meeting, le aree co-working e comuni. Le sperimentazioni si stanno già dirigendo verso la ricerca di materiali nuovi che possano essere igienizzati velocemente e senza rovinarsi».
Niente più moquette, i vecchi hotel dovranno essere riqualificati e quasi sicuramente trasformati in edifici residenziali, i recenti sapranno adattarsi alle nuove esigenze. Anche per i serviced apartment, gli appartamenti messi a disposizione dei viaggiatori, non sarà un momento facile. I certificati che garantiscono la sanificazione della casa dopo ogni soggiorno saranno più importanti delle cinque stelle lusso.
La distanza sociale condizionerà l’organizzazione delle hall degli alberghi, dei luoghi dedicati all’incontro e perfino dei check in e check out. L’attesa all’arrivo, al supermercato, al ristorante smetterà di essere un momento qualsiasi della giornata e diverrà spazio per l’intrattenimento o da dedicare alla produttività. Oggi nei negozi ci sono le tracce sul pavimento che indicano la distanza da mantenere dall’altro, domani potrebbero essere schermi o superfici trasparenti attraverso cui dialogare senza toccarsi. Al ristorante oltre a separare i tavoli con pareti leggere in plexiglass ad essere riorganizzato dovrà essere il servizio. «Potrebbe cambiare anche la forma stessa dei piatti – suggerisce Micheli – per evitare ogni possibilità di contatto tra il cameriere e la pietanza da portare in tavola».
Le soluzioni di architetti e designer per risolvere i problemi nuovi che gli utenti si trovano ad affrontare con il Covid-19 devono essere modulabili e sempre più personalizzate. Un grosso aiuto in questa direzione viene dalle stampanti 3d che sono in grado di tradurre in breve tempo idee e concetti in oggetti reali, sia su grande che su piccola scala.
«La paura rimarrà per un po’, purtroppo» continua l’architetto mentre Marta, la sua assistente, gli ricorda che dopo poco avrà un meeting su Zoom – l’applicazione per le conferenze in streaming – e che deve prepararsi. In sottofondo si sentono gli squilli sull’altra linea telefonica ed i messaggi che arrivano su whatsapp. «La sfida per un buon progettista sta nel trovare una soluzione che unisca questa nuova esigenza, il distanziamento sociale, con la peculiare affettuosità e necessità di contatto del popolo italiano. Sono sicuro che ci riusciremo».