Quali sono le conseguenze di COVID-19 sull’apparato cardiovascolare? Sono diversi gli aspetti da approfondire. Dalla gestione ospedaliera dei cardiopatici, all’utilizzo degli anticoagulanti nei malati più gravi. Dalle principali cause di morte in questi pazienti, alla terapia con sartani e Ace-inibitori, medicinali impiegati nei soggetti ipertesi o con disturbi cardiaci. Sull’argomento Zeta ha intervistato la professoressa Pina Giarrusso, dell’Unità Operativa di Cardiologia del Policlinico Umberto I di Roma.
Quale è il ruolo degli ACE-inibitori e dei sartani nei pazienti positivi a SARS-CoV-2?
«Il tema è importante, perché sono tra i farmaci più utilizzati. Agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, una cascata regolatrice della pressione e del volume di sangue circolante. Per questo motivo trovano impiego nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, nella fase successiva all’infarto e nell’insufficienza cardiaca, come protettori d’organo. Se stratificassimo la popolazione COVID-19 in base al tasso di mortalità, noteremmo che i più colpiti sono gli anziani e i soggetti portatori di varie patologie. Spesso si tratta di cardiopatici o ipertesi, per i quali gli Ace-inibitori e i sartani rappresentano una terapia cardine».

Perché il Coronavirus interferisce con questi farmaci?
«La porta d’ingresso del Coronavirus nell’organismo umano è un recettore presente sulla superficie delle membrane cellulari di polmoni, cuore e arterie, chiamato ACE-2. Pur con meccanismi d’azione diversi, i medicinali interferiscono con la sua funzione. Tuttavia i pareri sono controversi. Il dato certo è che il virus compete con il recettore e, dopo aver colpito le cellule, scatena una reazione infiammatoria detta cascata citochinica. Questo processo determina una polmonite bilaterale, che è la principale causa di morte nei pazienti. Invece, in una percentuale non trascurabile di casi, la prognosi sfavorevole è dovuta a una grave infiammazione del tessuto cardiaco, chiamata miocardite. Alcuni studiosi ritengono che la sospensione dei farmaci sia un fattore protettivo, in quanto aumenta la disponibilità del recettore. Altri, invece, la interpretano in maniera negativa, perché faciliterebbe l’attacco del virus alle cellule».
Come si comportano i cardiologi?
«I lavori pubblicati sono solo ipotesi molecolari, basate su indagini di laboratorio. Manca un riscontro obiettivo che convalidi una delle due teorie in modo significativo. Il virus è ancora oggetto di studio e la sospensione dei farmaci sarebbe un azzardo. Secondo la Società Europea di Cardiologia (ESC) non ci sono evidenze che giustifichino l’interruzione del trattamento con ACE-inibitori o sartani in pazienti positivi a SARS-CoV-2».
Perché vengono utilizzati gli anticoagulanti?
«La cascata citochinica favorisce la formazione di trombi nell’albero vascolare del polmone. I farmaci anticoagulanti, come l’eparina a basso peso molecolare, migliorano la prognosi del paziente in modo netto».
Quali sono le cause di morte cardiaca da COVID-19?
«In questa malattia ci sono elementi patologici in grado di alterare la fisiologia di un cuore sano: l’insufficienza respiratoria, la ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue, la tachicardia e la febbre. Tutti provocano una importante fatica cardiaca. In gergo tecnico si definiscono determinanti del consumo miocardico d’ossigeno.
Le cause di morte sono un’insufficienza cardiorespiratoria terminale e refrattaria (che non risponde ad alcun intervento) o una miocardite massiva fulminante, che spesso colpisce i giovani individui. La patologia ischemica è meno frequente, perché suscettibile di trattamento farmacologico o procedure di rivascolarizzazione, con posizionamento di stent. Al nostro gruppo di lavoro, però, questa eventualità non è mai capitata».

Come è cambiato il lavoro dei cardiologi al Policlinico Umberto I?
«La routine non è più la stessa. Ci si incontra di meno, è difficile persino bere un caffè con altri specialisti. L’azienda ha messo a disposizione un sistema informatizzato con il quale vengono richieste le consulenze. Attraverso la piattaforma trasmettiamo e refertiamo l’elettrocardiogramma e i cambi di terapia, spesso evitando un contatto diretto. Questo è il nostro lavoro con la maggior parte dei pazienti COVID-19, che presentano sintomi lievi o moderati. Nel caso di malati gravi, andiamo a visitarli nel reparto di degenza, cautelandoci con i dispositivi di protezione individuale. Se riscontriamo un’instabilità emodinamica o un’importante insufficienza cardiaca, diamo indicazione al trasferimento nell’unità di terapia intensiva. Si tratta di una patologia nuova e inaspettata, che stiamo conoscendo e rispetto alla quale stiamo affinando metodologie e cure».