«Prego, favorisca patente di immunità e certificato di sicurezza». Titoli a effetto e slogan da tastiera simili sono apparsi sui media nelle ultime settimane, rischiando di confondere e dare informazioni sbagliate su utilizzo e significato del test sierologico. Questo strumento diagnostico individua nella popolazione le persone entrate in contatto con SARS-CoV-2. Dal prossimo 4 maggio verranno distribuiti in Italia i primi 150.000 campioni, su candidati selezionati dal Comitato Tecnico Scientifico, organo governativo che detta le misure nella gestione dell’emergenza Coronavirus.
Sarà Abbott, multinazionale leader nei settori di ricerca e produzione per la salute pubblica, a fornire i kit sierologici al nostro Paese. Lo scorso 25 aprile l’azienda con sede a Chicago si è aggiudicata il bando di gara, vincendo la concorrenza di oltre 70 società partecipanti. L’obiettivo è consegnarne 4 milioni entro la fine del mese.
Un’ulteriore risorsa per affrontare la pandemia, dunque, che però va studiata e compresa nei suoi aspetti. Alle nostre domande ha risposto Vincenzo Barnaba, professore ordinario di Medicina Interna e Specialità Mediche dell’Università “Sapienza” di Roma, Presidente dell’Accademia Medica di Roma e past President della Società Italiana di Immunologia, Immunologia Clinica e Allergologia.
Professore, che differenza c’è tra test sierologico e tampone?
«Il tampone può evidenziare un’infezione COVID-19 in atto. Tramite un cotton fioc, il personale sanitario preleva le secrezioni delle alte vie respiratorie. Dal campione si estrae l’RNA di SARS-CoV-2 mediante la reazione a catena della polimerasi. Questa è una tecnica di biologia molecolare, con cui si ottengono numerose copie di uno specifico segmento del genoma virale. Se il risultato fosse positivo, il paziente sarebbe infetto e contagioso.
Al contrario, il test sierologico riscontra e quantifica, nei soggetti venuti a contatto con il virus, gli anticorpi o immunoglobuline, le proteine specifiche che riconoscono il virus».
Come funziona?
«Per prima cosa le persone si sottopongono a un prelievo venoso, da cui si ricava il siero, la parte di sangue priva di cellule e fattori della coagulazione. Dopo poche ore i kit permettono l’identificazione degli anticorpi specifici per gli antigeni virali, che nei test in commercio sono le proteine Spike del Coronavirus. Esse contengono una porzione che favorisce il legame del SARS-CoV-2 al recettore ACE-2 e lo fa entrare nelle cellule di polmoni, intestino e naso».
Che tipo di anticorpo viene scoperto?
«Vengono rilevate le immunoglobuline G (IgG), che si formano 10-14 giorni dopo il contagio da SARS-CoV-2 e in genere persistono dopo la guarigione per un tempo prolungato. Ci dicono se una persona è entrata in contatto con il virus e forniscono al nostro corpo una memoria immunologica, con cui ricorda il microrganismo. La positività per tali anticorpi, associata al tampone negativo, è sinonimo di infezione pregressa.
Sembra che in futuro l’azienda possa mettere a disposizione anche test per evidenziare le immunoglobuline M (IgM), che si sviluppano nella fase precoce della malattia. Sono un marcatore di infezione in atto, che andrebbe confermata con l’esecuzione in tempi rapidi di un tampone».
Perché non possiamo parlare di “patente immunologica”?
«È un termine inadeguato, che confonde. Le immunoglobuline anti-SARS-CoV-2 di classe IgG, che vengono determinate con il kit, sono dei marcatori di pregressa infezione, non di protezione. Con i test si dosano numerosi anticorpi, che riconoscono diversi determinanti di Spike. Purtroppo non discriminano quelli contro la porzione specifica della proteina che consente al virus di entrare nella cellula. Non abbiamo quindi conferma della presenza di anticorpi neutralizzanti, gli unici che garantirebbero un’immunità valida, cioè la protezione».
Perché sono importanti i test sierologici?
«Sono fondamentali per gli studi epidemiologici. Nel corso di screening di massa si può vedere quanta gente è stata infettata dal Coronavirus. Da alcune pubblicazioni è emerso che i malati non identificati sono dieci volte più numerosi rispetto a quelli individuati con il tampone. Dunque la determinazione degli anticorpi permetterebbe una panoramica più ampia sulla malattia. Inoltre è più economica e disponibile».